LE TESTIMONIANZE

L&L si propone di raccogliere e mettere a disposizione testimonianze di ogni genere relative all'utilizzazione di biblioteche di
qualsiasi tipo, contenute in scritti autobiografici, diari, memorie, interviste, carteggi, ecc., ma senza escludere testi narrativi o creativi (romanzi, poesie), per restituire la dimensione soggettiva ed esperienziale, sia positiva sia negativa, dell'uso delle biblioteche.
Sono comprese, quando è utile, anche fonti un po' diverse come articoli di giornale, inchieste, materiali promozionali, ecc.
Alle testimonianze si affianca una scelta di documentazione iconografica (utilizzabile anche a scopo didattico), relativa alle biblioteche considerate, ai loro locali e alle loro attrezzature, indispensabile per la piena comprensione delle testimonianze stesse.

N.B. La casella di ricerca qui sotto opera soltanto sul titolo della testimonianza (di norma, cognome dell'autore e anno).
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Risultati della ricerca

Carandini (2021)

«Al mio malore, in tutti i sensi teatrale, sono seguite quelle che solo molto tempo dopo ho capito essere state crisi gravi di panico - allora ignote -, nelle quali temevo di morire per un generale e profondo malessere unito a batticuore. Per curare il disturbo non vi era allora che il Bellergil e altre medicine inefficaci. Scendevo allora dal Quirinale alla biblioteca di archeologia e storia dell'arte a Palazzo Venezia per redigere la mia tesi sui mosaici di Piazza Armerina, facendo però il percorso a tappe, come se avessi dovuto attraversare le Ande; uscivo poi dalla biblioteca con un'oppressione al petto...».

(Andrea Carandini, L'ultimo della classe, p. 252)

Cardarelli (1910-1911)

«Potremo vederci una volta, almeno una volta? Io vado in Biblioteca (Vittorio Emanuele) ogni giorno dalle cinque alle sette. Ho bisogno di dirle tante cose: e parlare di lei, soprattutto di lei.
[...]
Io lavoro e studio furiosamente.»
(Vincenzo Cardarelli, lettera a Laura Albertini, Roma 21 giugno 1910, p. 31).

«Caro Prezzolini, ho quasi rimorso a scrivervi di questi tempi ma ho bisogno di qualche vostro consiglio.
[...]
Da quattro anni io ho fatto la vita del caffè e della strada: ho fatto anche quella della Biblioteca. Ma la Vittorio Emanuele ha il torto di essere troppo a portata di mano. Per andarvi non si fa un sacrifizio. Non so se mi spiego. Voglio dire che una vera solitudine di raccoglimento e di studio, purtroppo, nella mia vita non c'è mai stata. E ora voglio che ci sia.»
(Cardarelli, lettera a Giuseppe Prezzolini, Roma 27 giugno 1911, p. 51-52).

Cardarelli (1913-1914)

«Ho deciso invece di fare una cosa: di prendere abbonamento da Vieusseux che ha alcune opere classiche sulla Sardegna, e di andarmele a leggere a Gavinana, dove resterò un mese o poco più. Poi mi fermerò, ancora un poco, a Firenze, tra Vieusseux e la Nazionale, potrò consultare ancora parecchi libri e prendere gli appunti che mi bisogna. Per ora ho speso sette lire e mi son preso tre opere: l'itinerario del Lamarmora, la storia del Manno, e certe considerazioni, vecchie ma interessanti, di Baudi di Vesme. Ho visto la breve nota bibliografica del Pintor. [...] Non mi parli di residenze a Roma. Del resto non debbo mica fare un'opera erudita. Quando ho scelto con un certo criterio e conosciuto alcuni scritti fondamentali, di molte pubblicazioni più moderne e più agevoli mi posso informare anche a Firenze, il mese prossimo, e soprattutto anche a Cagliari, dove ormai ho deciso, se lei non ha nulla in contrario, di passare quel tempo che mi ci vorrà a scrivere il libro.»
(Vincenzo Cardarelli, lettera a Angiolo Orvieto, Firenze 12 luglio 1913, p. 56).

«Io conto di star qui fino alla fine d'agosto. Ho ordinato a Vieusseux altri libri. Poi, siccome ho il biglietto gratis, andrò un giorno o due a Venezia, e farò una visita, passando, a mia sorella ch'è nella bassa Lombardia. Sicchè verso il dieci settembre potrò essere a Firenze, dove proseguirò queste letture sarde e dove spero di poterla vedere per concertare definitivamente il nuovo viaggio e la struttura e i termini della pubblicazione.»
(Cardarelli a Orvieto, Gavinana 15 agosto 1913, p. 64).

«Caro signor Angiolo,
sono, dunque, a Firenze. [...] Dimenticai l'altra volta di dirle che, oltre alle spese di vitto, posta, lavatura etc. (supplementi assai cari in villeggiatura) avevo pagato, con le duecento lire di Firenze, anche due mesi di abbonamento da Vieusseux. E ora, il dieci di questo, debbo pagare il terzo. [...]
Qui passerò parecchie ore del giorno in biblioteca. In modo che quando ripartirò per la Sardegna avrò già consultato il maggior numero di libri, e, al ritorno, non mi resterà che mettermi al lavoro.»
(Cardarelli a Orvieto, Firenze 5 settembre 1913, p. 64, 66).

«Qui sto, normalmente, quattro o cinque ore il giorno, in Biblioteca. Scorro l'Archivio Storico, la Miscellanea storica e il Bollettino storico subalpino, dove sono gli scritti più moderni sulla storia sarda, della quale mi vado facendo un'idea abbastanza precisa. Poi la sera a casa leggo le opere (vecchie cronologie) del prestito Vieusseux. Credo che, quando partirò da Firenze, avrò ingollato parecchia letteratura.»
(Cardarelli a Orvieto, Firenze 15 settembre 1913, p. 66).

«Caro signor Angiolo,
non si stupisca di sapermi ancora a Roma. Ho dovuto impiegare qualche giorno alla lettura della inchiesta parlamentare sulle condizioni economiche della Sardegna dell'on. Pais, che a Firenze, come le dissi, non potei vedere.»
(Cardarelli a Orvieto, Roma 20 ottobre 1913, p. 73).

«Come sa la Sardegna costa, tanto vero che mi guarderò bene dal rimanere qui in Cagliari un mese, come avevo deciso. Non solo non si trovano camere (la gente di qui affitta a stagioni!), ma sarebbe assai laborioso e difficile servirsi della biblioteca di qui, come avevo pensato, e, inoltre, per la siccità, la mancanza assoluta di acqua (non ce n'è neanche per fare un bagno) non fa ritenere del tutto infondato il pericolo di un'epidemia da un momento all'altro.»
(Cardarelli a Orvieto, Cagliari 5 novembre 1913, p. 76).

«Nel frattempo spero di concludere molto a proposito di questo libro e di poter mantenere, se dio vuole, la promessa. Ho ottenuto dal Pintor della biblioteca del Senato il prestito di tutti i libri che mi occorrono, cosicchè posso lavorare comodamente in casa senza bisogno di andare a far esercizi di pazienza in giro per le biblioteche pubbliche.»
(Cardarelli a Orvieto, Roma 16 dicembre 1913, p. 81).

«Dico la verità, quando io accettai di consegnare questo libro per la fine dell'anno avevo sì entro di me un nucleo sostanziale di cose da dire forse più vivo e tumultuoso di quel che non abbia ora, ma non un'idea molto precisa del lavoro di preparazione che avrei dovuto compiere e del tempo che mi ci sarebbe voluto per iscriverlo. In seguito alle letture di Firenze e a queste ora riprese a Roma, col gentilissimo ausilio del signor Pintor, tale idea l'ho acquistata. [...]
Per darle un'idea del lavoro preparatorio che ancora debbo esaurire sappia che mi rimangono da leggere e consultare almeno una ventina di pubblicazioni, alcune delle quali vecchie, faticose a scorrere, e ponderose. Non creda con ciò tuttavia ch'io mi voglia sperdere in questo ingenuo bisogno di erudizione. Io ho un certo fiuto e so dove fermarmi e cosa prendere da tanta mole libresca, che faccia al caso mio. [...]
Intanto se lei mi mandasse il libro sul Malvezzi, che ho visto ieri in Senato (dico il libro), mi farebbe un piacere.»
(Cardarelli a Orvieto, Roma 23 dicembre 1913, p. 84-86).

«Caro signor Angiolo,
io soffrivo già il suo silenzio come una severa condanna meritata, e intanto il signor Pintor mi cercava come il più gentile e benvenuto degli ambasciatori. Non so che dire. Vincendo la paura di una disfatta ancora più triste riprendo il mio coraggio e decido di andarmene in campagna a scrivere questo libro cui avevo, dolorosamente, rinunziato.»
(Cardarelli a Orvieto, Roma 5 marzo 1914, p. 89-90. Il libro non fu mai completato).

Cardinale (2015)

«Pasolini, appena giunto a Roma, frequenta nei primi anni Cinquanta la Biblioteca nazionale nella sua sede storica al Collegio romano, in particolare la sala di consultazione denominata "A", per preparare il Canzoniere italiano, antologia della poesia popolare pubblicata nel 1955 dall'editore Guanda. Mosso dall'urgenza di concludere il lavoro, si reca egli stesso in biblioteca o prende in prestito dei volumi. Spesso commissiona ad altri il reperimento dei testi o chiede aiuto ai bibliotecari. Nel 1953 mostra tutta la sua preoccupazione per la chiusura temporanea dell'Istituto [...].
A conclusione del Canzoniere italiano Pasolini pubblica gli Appunti bibliografici e note ai testi, precisando egli stesso che non «è questa una bibliografia, ma il materiale bibliografico» che ha raccolto lavorando all'antologia. Di questo materiale bibliografico raccolto durante la preparazione del volume si conserva un elenco nel quale accanto all'indicazione dell'opera è presente la segnatura del libro posseduto dalla Biblioteca nazionale. È la prova evidente di come lo scrittore abbia frequentato l'Istituto per approntare l'antologia della poesia popolare. [...] Ulteriore conferma del fatto che lo scrittore abbia consultato quei testi emerge dagli stessi esemplari posseduti dalla Biblioteca, molti dei quali presentano segni di lettura proprio di Pasolini, come per esempio i Canti del popolo napoletano raccolti ed annotati da Luigi Molinaro Del Chiaro del 1880.»

(Eleonora Cardinale, Il laboratorio dello scrittore: Pasolini alla Biblioteca nazionale centrale di Roma, in: "Ragazzi leggeri come stracci", p. 51-52, con una riproduzione. Il volume citato è Canti del popolo napoletano raccolti ed annotati da Luigi Molinaro Del Chiaro, Napoli, Tipografia di Gabriele Argenio, 1880, collocazione 256.8.F.23, descritto a p. 75).

Carducci (1864)

«O senti: tu hai ragione di lagnarti di me, hai ragione, mille ragioni: ma poi pensa anche un poco, o imagina, come l'accertarsi se nelle nostre biblioteche, le quali mancano di cataloghi non ragionati ma decenti, esistano o no copie delle cose che ricerchi, richiede tempo e lavoro non indifferente»

(Giosue Carducci, lettera a Alessandro D'Ancona, Bologna 21 gennaio 1864, p. 67)

Carducci (1892)

«Satana diventando vecchio si fa eremita, ed il suo cantore riceve e fa salamelecchi cogli abati della Biblioteca vaticagnesca.»

(«Il fischietto» (Torino), 45, n. 12 (2 feb. 1892), riprodotto in Albo carducciano, p. 260, su una visita di Carducci alla Biblioteca Vaticana. Nell'ecclesiastico che saluta Carducci si voleva probabilmente rappresentare Isidoro Carini, che allora dirigeva la Biblioteca. Isidoro Carini, peraltro, era figlio del generale garibaldino Giacinto).

Carducci alla Vaticana (1892)

Carnevali (1918)

«Qui non si comprano giornali italiani all’infuori della Lettura e Domenica del Corriere. Ma nella Public Library, ho scoperto tutti i numeri della Voce, e ciò mi ha dato una gran fame di cose italiane. E [Joel Elias] Spingarn mi diede una volta dei volumi legati della sua Critica. Sono affamato di quelle cose e di tutto in genere, poiché scrivo, non faccio quattrini e mi manca tutto.»

(Emanuel Carnevali, lettera a Benedetto Croce, New York 5 agosto 1918, in Voglio disturbare l'America, p. 62).

Carnevali (1978)

«Le donne di Chicago si dipingono meno orrendamente che a New York e sono anche più sane da vedere. Chicago lancia alle quattro pareti del cielo la ventosa scommessa che durerà ancora stagioni e stagioni prima di affondare nel marasma come New York. (Ma nel tempio della sapienza, la biblioteca pubblica di Chicago, c’è questo cartello: «mettersi in ordine gli abiti, prima di uscire». Sapreste trovarne uno migliore? Certamente no).»
(Emanuel Carnevali, Il primo Dio).

Il romanzo autobiografico di Carnevali, scritto in inglese e rimasto inedito, è stato tradotto in italiano da Maria Pia Carnevali (sorellastra dell’autore) e pubblicato presso Adelphi nel 1978.

Carpenito Vetrano (2002)

«Marinari studiò la letteratura ottocentesca, in particolare quella del Mezzogiorno e, con estrema originalità, l'opera del De Sanctis e del Padula, entrambi uomini ed intellettuali del nostro Mezzogiorno.
Fu l'amore grande per il critico di Morra a mantenere vivi in lui i rapporti con la sua terra e con questa Biblioteca [Provinciale di Avellino] che di De Sanctis conserva gran parte dei suoi manoscritti.
Fin dagli anni Cinquanta, dalle colonne del "Corriere dell'Irpinia" e del "Progresso irpino", incitava, sollecitava energicamente e con frequenza gli amministratori del tempo perché si desse alla Biblioteca Capone una sede degna dei suoi fondi librari.
Mi ritornano alla mente le sue visite frequenti, lo vedo aggirarsi allora giovane, ma noto intellettuale, nelle sale anguste dell'antica sede della Biblioteca, scrutatore minuto e profondo, raccoglitore paziente, instancabile di notizie preziose. Le visite di Muscetta e Marinari, in quel tempo, erano sempre un evento per noi giovani funzionari. Il vecchio direttore [Mario] Sarro le annunciava con molto anticipo, perché diligentemente copiassimo, molto spesso a mano, e con bella grafia ci raccomandava, pagine di testi richiesti dai due professori.
Fu forse allora, conoscendo professori dello spessore culturale di Muscetta e Marinari, che iniziammo ad amare il nostro lavoro, cominciammo ad intendere la funzione di bibliotecario come vocazione e nobile privilegio».
(Annamaria Carpenito Vetrano, [ricordo di Attilio Marinari], p. 41-42)

Cecchi (1912-1913)

«19 Marzo [1912]. Cinque giorni di vuoto [...]. Cominciato ad andare a studiare nella biblioteca della Keats Shelley Memorial House. Ora: mettere in pari e completare tutte le letture diverse; e riunirmi nello studio per gli «Inglesi» [...].»
(Emilio Cecchi, Taccuini, p.59).

«Giugno 1912. Levarmi dal letto prestissimo, verso le due o le tre, e lavorare a comporre fino alle otto; alle otto fare il bagno, fare colazione e andare alle biblioteche, fino all'ora di desinare. Tornare alle biblioteche nel pomeriggio subito. [...] Andare a letto non più tardi delle 9, e non distaccarmi da questa regola di vita per qualche mese.»
(ivi, p.79. Altri brevi riferimenti, nello stesso periodo, non specificano quali biblioteche Cecchi frequentasse).

«Leggo in Piazza di Spagna, ancora; ora i taccuini di lavoro dello Shelley (II e III) dove sono cose belle e curiose. Come aveva ragione di tenersi tanto attaccato a Eschilo e a Pindaro! Quelle sono le basi. [...] Eh, lo Shelley era un gran poeta; ma grande di molto. Quando si è intorno a uno di questi uomini, pare d'esser sotto una delle piramidi di Egitto.»
(Emilio Cecchi, cartolina a Arturo Onofri, Roma 27 giugno 1913, in: Carteggi Cecchi-Onofri-Papini (1912-1917), a cura di Carlo D'Alessio, Milano, Bompiani, 2000, p. 52-53).

Cecchi (1913)

«Il Blondel l'ebbi dalla Biblioteca filosofica di Palermo, di cui è direttore già [o Gio.?] Gentile. Non conosco il Gentile, ma gli scrissi e me la mandò. Credo che tu potrai fare altrettanto, con successo. Addio. A Gentile scrivi: Università di Palermo. Se poi ti associ alla Biblioteca (una tassa minima), hai diritto di avere il volume. Addio: per la terza volta.»

(Emilio Cecchi, lettera a Arturo Onofri, [Roma] 26 gennaio 1913, in: Carteggi Cecchi-Onofri-Papini (1912-1917), p. 52. Secondo il curatore il riferimento è a Maurice Blondel, L'action, Paris, Alcan, 1893).

Cecchi (1919)

«Quando conobbi il Croce, pochi anni dopo la prima edizione dell'Estetica, egli non era famoso come ora che gli hanno confermato la fama anche a forza di vitupèri. Fu in quella sala della Biblioteca Filosofica di Firenze, che spiritualmente parlando ne ha viste di tutti i colori. Aspettavo un pomeriggio di essergli presentato, con un turbamento per nulla diminuito dal ricordo di qualche espressione bonaria ch'egli aveva avuto per un mio lavoro. Farò ridere i miei fratellini minori a parlare in quest'ordine di sentimenti? [...] L'adolescente che non ha mai sospirato il napoleonico: «Caporale son contento di voi» io lo chiamo sepolcro imbiancato, almeno da quanto l'altro che non rubò mai un sigaro dalla tasca paterna.»

(Emilio Cecchi, Benedetto Croce, (Gli uomini dell'Italia odierna), «Rivista d'Italia», 22, n. 8, 31 agosto 1919, p. 504-506: 504. Ripubblicato in Emilio Cecchi, Ricordi crociani, Milano-Napoli, Ricciardi, 1965, p. 42-47: 42-43).

Cecchi (1953)

«Tralasciando cose maggiori, basti pensare, lì nel bel mezzo alla città, una fondazione come il “Gabinetto Vieusseux”, dove le tradizioni della Antologia, e dei colloqui del Tommaseo col Capponi, il Colletta, il Leopardi, non erano meno presenti anche se ridotte al modesto servigio letterario d’un prestito di libri. Io credo che soltanto la London Library, fondata a Londra dal Carlyle nel 1841, abbia sopravanzato il “Vieusseux” in una funzione simile. Ch’è funzione a corredo e sussidio delle grandi biblioteche pubbliche; con la diffusione di prodotti di letteratura e di storia, italiani e stranieri, recenti e recentissimi, che a tali biblioteche accedono più lentamente, e ad alcune non accedono affatto per la necessaria osservanza delle diverse specializzazioni».

(Emilio Cecchi, Tre volti di Firenze (1953), in Fiorentinità e altri saggi, prefazione di Mario Luzi, nota ai testi di Margherita Ghilardi, Firenze, Sansoni, 1985, p. 105-106; poi in: Firenze, Torino, Aragno, 2017, p. 261-262).
Gli abbonamenti di Cecchi alla circolante Vieusseux, con l'indicazione dei vari recapiti, risultano registrati nel Libro dei soci (Archivio Storico del Gabinetto Vieusseux XIX 2B). Tra il 1901 e il 1919, sono segnalati i seguenti domicili: 26 luglio 1901 (via S. Gallo 65 e Villa Borgheri Querceto), 30 dicembre 1902, 7 marzo 1904, 1° dicembre 1908 (Via Bolognese 24); 11 marzo e 11 novembre 1910 (borgo Santa Croce piano III); 4 luglio 1911 (Via Nomentana 331, Villino Natalucci, Roma; “La Tribuna”); 4 agosto 1914 (Villa Baldi, Vaglia, Mugello); 3 ottobre 1916 (Via Colletta 8 p. 2°); 16 luglio 1917, 13 febbraio e 24 agosto 1918 (via Jacopo Nardi 15 p. 2°), 30 aprile 1919 (Via Colletta 8 p. 2°). Si ringrazia Laura Desideri per la cortese segnalazione.

Cecchi-Baldini (1920)

«È due giorni che io giro Roma in cerca delle opere di San Giovanni Crisostomo; perché ho letto delle citazioni rincoglionitive dai suoi «Costumi delle donne», e me lo voglio leggere. Non importa ti dica che, per ora, l'ho cercato dovunque, invano.»
(Emilio Cecchi, lettera a Antonio Baldini, Roma 10 agosto 1920, p. 184-185).

«S. Giovanni Crisostomo non è nella Patrologia del Migne in Biblioteca [nazionale], Sala di Studio?»
(Baldini a Cecchi, Caprarola 13 agosto 1920, p. 186).

Cecchi-Praz (1923)

«Godo molto che Lei vada a Londra: che esperienza! [...] Se Ella può credere che io possa darle qualche lettera di presentazione, a suo tempo mi scriva, e lo farò volentieri. Io conosco là diversa gente: e alcuni veramente in gamba. Credo che il Sigr [Frederic Herbert] Trench (o se no io stesso) potrà presentarla a Laurence Binyon del «British Museum»; cosa utilissima per avere subito il permesso per la sala di studio del Museum.»

(Emilio Cecchi, lettera a Mario Praz, [Roma] 6 gennaio 1923, p. 42)

«Un piccolo piacere: quando va al «British Museum», mi segna, in un pezzetto di carta, la bibliografia di quello che è stato pubblicato, in volume, intorno a Joseph Conrad? Mi scusi, e grazie.»

(Emilio Cecchi, lettera a Mario Praz, Roma 18 settembre 1923, p. 65)

«Le trascrivo quanto ho potuto raccogliere di bibliografia conradiana. La fonte bibliografica principale è naturalmente:
Th. J . Wise, A Bibliography of the writings of Joseph Conrad... [...] 
Da questa ho ricavato la maggior parte delle citazioni seguenti: altre ne ho trovate nel catalogo del British Museum. Ho consultato anche i fascicoli di nuove accessioni. [...]
Di volumi pare non ci sia altro. Non mi sembrano molto importanti, così a occhio e croce. Però, se crede, posso dare un'occhiata, come posso dare un'occhiata alle critiche e recensioni apparse in riviste, che, a parere del Wise, formano il contributo più notevole.»

(Mario Praz, lettera a Emilio Cecchi, Londra 30 settembre 1923, p. 65-67)