L&L si propone di raccogliere e mettere a disposizione testimonianze di ogni genere relative all'utilizzazione di biblioteche di
qualsiasi tipo, contenute in scritti autobiografici, diari, memorie, interviste, carteggi, ecc., ma senza escludere testi narrativi o creativi (romanzi, poesie), per restituire la dimensione soggettiva ed esperienziale, sia positiva sia negativa, dell'uso delle biblioteche.
Sono comprese, quando è utile, anche fonti un po' diverse come articoli di giornale, inchieste, materiali promozionali, ecc.
Alle testimonianze si affianca una scelta di documentazione iconografica (utilizzabile anche a scopo didattico), relativa alle biblioteche considerate, ai loro locali e alle loro attrezzature, indispensabile per la piena comprensione delle testimonianze stesse.
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Mazzocchi Alemanni (1955)
«Un mattino d'inverno, sulla soglia dell'illustre, silenzioso salone [della Biblioteca Angelica] dove gli eruditi habitués (storici della riforma, studiosi dell'agostinismo, editori di testi delle origini) andavano mano a mano sprofondando negli abissi della recherche o addipanando sottilissimi fili nel labirinto della memoria del mondo, sulla soglia dunque del vanvitelliano salone apparve da essa timidamente affacciandosi un omino dagli abiti lisi e dall'aspetto umiliato dell'operaio senza lavoro. Veniva dalla Borgata Gordiani o dalla Garbatella, non so. E, richiesto della ragione della sua presenza (il primo moto da parte del custode era stato di sospetto) rispose, mentre gettava un'occhiata tra vergognosa e avida, ai dorsi delle migliaia di volumi allineati negli alti scaffali; «Voglio un libro». E chiestogli quale fosse il libro desiderato, insistette nel «limitare» il suo desiderio («Un libro») e, insieme, estendendolo, allargandolo all'infinito. Gli eravamo intorno noi della biblioteca come ad un messaggero misterioso e impossibile (la Borgata Gordiani, la Garbatella), come a un profugo (esemplare) che dall'assedio dei fogli rosa sportivi, dei lucidissimi rotocalchi, dei variopinti e scomposti e stupidamente ottimistici western delle buste a trenta lire, s'era aperto un varco, un passaggio. Un varco; ma disperato inutile, come sprovveduto passero nel gelo, nell'orrore sacro di quella foresta di incunaboli, di cinquecentine, di in folio. Tanto che lo si consigliò di rivolgersi a qualche bibliotechina popolare (eravamo poi sicuri che esistesse?), di tentare altrove.
Ne sentii il passo spegnersi lungo la scala arcadicamente elegante. Il silenzio del salone dilagò nuovamente, sottolineato dal ticchettio discretissimo della Leica del professore di Cambridge che microfilmava alcune glosse euripidee.»
(Muzio Mazzocchi-Alemanni, Incunaboli e fumetti, p. 175-176).
Mazzoni (1917)
«Mio carissimo Fortunato [Pintor], mi son rifugiato quaggiù, a pian terreno, per queste due ragioni: che in Biblioteca [del Senato] c’era, lì vicino a me, Benedetto Croce; e che egli aveva messo in moto il ventilatore. Ora, pur troppo, in Italia, già abbastanza non si può nominare la critica, e tanto meno parlarne, senza rammentare La Critica e Benedetto Croce, e parlare di lei e di lui invece che della critica col c minuscolo. E quella macchinetta stridente e lanciante a sbuffi cadenzati dei getti d’aria mi sviava e raffreddava le idee. Sono in salvo. Posso scrivere. E se, a pienissimo Suo agio, Ella vorrà leggere, lo farà; se no, no; a me basta, egoisticamente, illudermi d’un uditore come Lei, e godermi questa aria ferma e, qui nella saletta, avendo accanto il [Luigi] Dorigo, di faccia il [Di] Camporeale [Paolo], essere sicuro che i miei pensieri sulla critica non saranno fraintesi, torturati, polemizzati! Che se Lei obiettasse con Giovenale: – Semper ego auditor tantum? – (come lo tradurrà mai quel nostro giovenalesco di [Guido] Carpegna?), Le risponderei: – Animo! Mi risponda, e imparerò qualcosa in più; perché Ella, senza voler parere, è un solenne obiettatore e serio suggeritore d’idee.»
(Guido Mazzoni, lettera a Fortunato Pintor, Roma 29 giugno 1917, p. XXXI).
Mazzoni-Croce (1894-1909)
«uno studente di qui, il sig. [Aurelio] Lancetta, nel lavorare sul Menzini avrebbe bisogno di vedere ciò che ne ha scritto certo signor G. Magrini, che pubblicò costà a Napoli nel 1885 una memoria su quel poeta. Dalla Biblioteca Nazionale rispondono che non l’hanno; non sembra probabile; ma forse si troverà altrove, o nelle biblioteche o da’ librai. Le sarò grato se cercherà aiutare il nostro studente: e se ci sarà spesa, naturalmente sarà a carico mio.»
(Guido Mazzoni, lettera a Benedetto Croce, [Firenze, 18 dicembre 1894], p. 14).
Il riferimento di Mazzoni è a: Giuseppe Magrini, Studio critico su Benedetto Menzini, Napoli, La Cava, 1885 (oggi conservato presso la Biblioteca nazionale di Napoli con la collocazione: Colagrosso 148).
«Le domando una notizia che forse non potrà procacciarmi se non al Suo ritorno a Firenze. Ma non c'è fretta.
Giulio Cesare Cortese, grande poeta in dialetto napoletano, si dice, in alcuni suoi scritti del 1608, "accademico della Crusca detto il Pastor Sebeto".
A me interesserebbe assai conoscere se in documenti, storie manoscritte o libro a stampa, serbati nell'Accad. della Crusca, si abbiano notizie del Cortese, il quale visse alcun tempo a Firenze, nei primi anni, credo, del secolo XVII. Vorrei anche sapere se il Pastor Sebeto era il nome che prese come accademico della Crusca. Immagino che debbano esservi registri di accademici o biografie di essi»
(Benedetto Croce, lettera a Guido Mazzoni, Napoli 1° novembre 1909, p. 91-92).
«Tornato ieri a Firenze ho fatto subito la ricerca. Giulio Cesare Cortese non apparisce tra gli accademici della Crusca. Ciò non può bastare a dire che non fu, perché il vecchio archivio dell'Accademia andò pur troppo in parte disperso, nella soppressione che dell'Accademia fece Pietro Leopoldo. Ma non è probabile che fosse, perché qualche traccia se ne troverebbe. Nel Nuovo dizionario storico di Bassano (quello del Verci [***], ecc., del 1796) trovo che un Giulio Cortese napoletano del sec. XVI "pare che differisca da Giulio Cortese di cui abbiamo la Vajasseida, poema eroico, la Rosa favolosa, e altri poemi napoletani impressi dal 1628 in poi". Pastor Sebeto non potrebbe in nessun caso essere il titolo di lui nella Crusca».
(Guido Mazzoni, lettera a Benedetto Croce, [Firenze] 6 novembre 1909, p. 92-93).
Meneghello (1964a)
«È strano pensandoci, che non mi ricordi piú come apprendessimo invece la caduta del regime; eppure dovrebbe essere un ricordo-base. Invece niente. [...] Ad ogni modo noi eravamo disorientati: nell'attimo in cui il regime si squagliava come i rifiuti superficiali di un letamaio sotto l’acquazzone, diventava chiaro che la cosa era ormai di poco conto: ciò che contava era la confusione in cui restavamo, la guerra, gli alleati-nemici, i nemici-alleati.
Io e Lelio andammo alla bibliotechina di Tarquinia a cambiare i libri. C’era un ritratto del Re Imperatore in mezzo al muro, a sinistra un ritratto di D’Annunzio, dall’altra parte un riquadro sbiancato, nel posto dov’era stato il Duce. Lelio montò su una sedia, tirò giú il Re Imperatore e lo appoggiò al muro, per terra; poi allungò le mani per prendere D’Annunzio. La signora bibliotecaria arrossí violentemente e disse: "Eh no, perbacco, quello no: quello è D’Annunzio!". Lelio disse: "Appunto", e lo mise al muro vicino al suo Re. La bibliotecaria stava per mettersi a piangere, mormorava: "Ma è il poeta della terza Italia", o quarta che fosse, adesso non mi ricordo. Ma noi inflessibilmente li passammo tutti e due per le scarpe, poi Lelio si mise a guardare il crocifisso che era restato solo sopra ai tre riquadri sbiancati. La bibliotecaria si sbiancò anche lei come i riquadri, ma dopo un po’ Lelio distolse lo sguardo dal crocifisso, e la bibliotecaria ridiventò rossa, e ci cambiò i libri. Mancava il verde.»
(Luigi Meneghello, I piccoli maestri, p. 28-29. Le edizioni più recenti presentano numerose piccole varianti).
Meneghello (1964b)
«l’insurrezione di Padova fu un fatto abbastanza importante, la nostra felice trovata di primavera; eravamo nelle strade, armati, eccitati, giovani: finiva la guerra con notevoli atti e spari [...].
Cominciavano le sfilate, i cortei; turbe di gente col bracciale, marciavano risolutamente, chi cantando chi sventolando qualcosa. Comparivano bandiere alle finestre; quelle con lo stemma del re mi facevano una certa rabbia, quelle senza mi parevano strambe, come quando uno s’infila il maglione alla rovescia. Un po’ alla volta mi veniva un’assurda voglia di ritirarmi subito da questa storia, di andare in biblioteca quella mattina stessa, e prendere un libro, e cominciare a studiare. A parte il fatto che la biblioteca sarà stata chiusa.»
(Luigi Meneghello, I piccoli maestri, p. 352, 358. Nelle edizioni più recenti il testo presenta numerose piccole varianti e si conclude con «mettermi a studiare. A parte che la biblioteca era chiusa.»)
Menghini (1901)
«Il Chiarini, nel suo recente volume sul Carducci ha offerto notizie sul genere di vita che il poeta conduce a Bologna. [...] A Roma cambia notevolmente d'abitudini. Si alza verso le otto se è d'inverno, verso le sette se d'estate [...], e quindi esce per andare al Senato, da quando è senatore. Gli anni avanti era solito rintanarsi nella Biblioteca Casanatense, dove il fedele [Edoardo] Alvisi teneva a sua disposizione una stanzetta per studiare. Ad ogni modo, anche in Senato il luogo prediletto dal Carducci è pur sempre la biblioteca. Colà, curvo sul tavolino, legge, prende appunti, corregge prove di stampa, scrive lettere: insomma è sempre alle sue occupazioni preferite. Conosce pochissimi senatori, coi quali si ferma di rado a discorrere, se si eccettui il senatore [Giovanni] Mariotti, che, messosi alle coste del Carducci a tempo del centenario leopardiano, non gli diede piú pace, finché non ottenne da lui: l'accettazione della presidenza della commissione per le onoranze al poeta recanatese, la promessa d'un discorso a Recanati, l'altra di sorvegliare la stampa dello Zibaldone, tutto, insomma, ciò ch'egli volle. Ma il cannone di mezzogiorno toglie il Carducci dai suoi studî; egli vuole andare a mangiare e attende con impazienza il nostro giungere.»
(M. [Mario] Menghini, Il Carducci a Roma, «Rivista d'Italia», 4, vol. 2, n. 5 (maggio 1901), p. 126-136: 130-131. Alvisi diresse la Casanatense dal 1886 al 1893; Carducci fu nominato senatore nel dicembre 1890).
Mercati (1893)
«La ringrazio delle notizie letterarie, che mi dà. Intorno all'anonimo del Bianconi avevo potuto sapere qualche cosa di vero in una corsa, che ho potuto fare a Modena all'Estense (là mi tocca sempre andare, quando voglio studiare un poco ammodo). Ma le notizie, che Ella mi dà, sono compiute, e con sua licenza me ne servirò in una nota d'un articolo su certi frammenti esaplari, che domani o posdomani le invierò [...]. Come si fa a pur pensare ad argomenti serii, dove purtroppo so non avere mezzi per trattarne convenientemente?»
(Giovanni Mercati, lettera a Antonio Maria Ceriani, Roteglia 18 agosto 1893, p. 136-137).
«Prima di partire da casa ricevetti di ritorno quel mio articolo con le sue osservazioni. [...] Due o tre inesattezze provengono dal difetto di libri, così che talora sono costretto di citare dietro schede ed appunti senza potere riscontrarle di nuovo. E.g. il Field non l'ho potuto studiare che scarsamente durante il mio servizio militare, e dopo non l'ho potuto più avere alla mano, che per una mezz'ora alla Vittorio Emmanuele di Roma durante il Pellegrinaggio del Febbraio u.s. Lo stesso dica dell'Agellio etc. Quando poi faccio una scorsa ad una Biblioteca provvista, ho tanti dubbi e tante questioni da risolvere, che non posso studiare con tutta la calma e verificare con tutta la precisione gli appunti fatti. Ed il Can.co Archid. [Francesco Gregori], che pure è la persona più dotta di qui [Reggio Emilia], non capisce, come io non possa studiare benissimo anche qui! e pure ben conosce quanto io sia povero e quanto più poveri di libri di scienza ecclesiastica siano le nostre biblioteche!»
(Mercati, lettera a Ceriani, Albinea 29 agosto 1893, p. 142-143. Mercati aveva fatto il servizio militare a Firenze e aveva probabilmente studiato il testo di Origene curato da Frederick Field alla Biblioteca Medicea Laurenziana. L'opera di Antonio Agelli (1532-1608) a cui si riferisce non è identificata).
«A Roma invece stavo assai bene, perché recandomi sempre o quasi sempre pedone alle Biblioteche, di cui la Vaticana m'era assai lontana, od a visitare le antichità faceva il moto necessario che mi liberava dagli incommodi della vita sedentaria degli studiosi. [...]
Ora sono nel Seminario di Reggio, dove insegno fino a che torni da Firenze l'amico che mi sostituisce, e dove lavoro da facchino nell'ordinamento della Biblioteca. Io fo questo per amore del Seminario e perché il S.r Rettore mi s'è raccomandato caldamente: nessuno de' miei colleghi è così libero, o, dirò meglio, così pratico di libri e così di buona voglia da pur metterci mano. Una libreria, di cui non c'è nessuno pratico, di cui non c'è catalogo alcuno, e dove i libri sono alla rinfusa, non può prestare alcun servigio ai poveri studiosi delle nostre scuole.»
(Mercati, lettera a Ceriani, Reggio Emilia 29 ottobre 1893, p. 164-165).
Mercati (1895)
«Iersera alle 11 giungeva finalmente a casa, dove alquanto riposato stendo una breve relazione del mio viaggietto.
Il 28 Luglio u.s. giunto a Modena, nel pomeriggio fui alla Capitolare, dove da un eccellente Messale Gregoriano del IX-X secolo copiato "ex authentico Romanae bibliothecae" ho tratto l'antica messa di S. Prospero. I tre giorni seguenti ho collazionato all'Estense l'Historia Miraculorum del d.o S.o da un codice, che rivela manifestissimamente le interessate corruzioni e mutilazione di quel testo importante per la storia del culto del S.o.
Il 1° d'Agosto fui a Bologna all'Universitaria a riscontrare una decina di codici greci omessi nel Catalogo stampato pochi mesi fa dall'Olivieri sotto la direzione del Prof. Puntoni. Parecchi di questi Codici sono importanti. Per me ho notato un Codice dei Profeti.
Il 2° faceva a Ravenna la restituzione del manoscritto di S. Ambrogio [all'Archivio diocesano]. L'E.mo Card. Arcivescovo volle che io lo racconciassi alla meglio, ne numerassi i fogli e lo assicurassi come sono assicurati i nostri mss. in fascio. L'ho fatto, e, credo, non male. Nel frattempo frugai per tutti gli antri dell'Archivio in cerca di altri fogli del S.t'Ambrogio: in vece d'essi trovai sopra uno scaffale altri tre fogli del mss. della Vulgata del sec. V°, tutti degli Atti Apostolici. Li ho copiati, come pure ho copiati quattro foglietti di Daniele in una scrittura minuscola vicina assai alla semiunciale, la cui età certo assai antica non saprei definire. A prima vista mi parvero dall'8 al 9 secolo: ma ora ne dubito. Il testo è quello della Vulgata.
Cogli stessi foglietti di Daniele e nello stesso formato era un codice delle Vitae Patrum in semiunciale dell'8° secolo circa. Ho riattato alla meglio queste reliquie, indicandone il contenuto e raccomandandole alla custodia dei presenti e dei futuri Archivisti, che forse chi sa cosa avrebbero lasciato farne.
Lunedì 5 [partii] alla sera per Faenza e Martedì mi recai alla Laurenziana a Firenze, dove passati una decina di passionarii contenenti la Vita di S. Prospero volli osservare un poco tutte le Catene greche sul V.o T.o e specialmente il Commentario in Iob del Crisostomo. Non v'è alcun codice del Commentario sui Salmi dello stesso. Delle Catene ve ne è appena due o tre che possono competere colle nostre, o almeno tenere loro dietro a una distanza non troppo grande. I Codici di una certa importanza paionmi Plut. V Cod. XIV e XXX, e IV: Plut. XI Codd. 4 e 5.
Indi venni a Pistoia, dove ho studiato tre giorni. La Fabroniana [ma Leoniana?] e la Forteguerriana non hanno nulla d'importante per i nostri. La Capitolare invece è eccellente: l'ho spogliata tutta, perché le indicazioni dello Zaccaria sono insufficientissime, e le segnature sono tutte mutate. Molti mss. di SS. Padri e della Bibbia latina, e 6 o 7 collezioni di Canoni dei Sec. XI-XII: tre o 4 antifonarii coi neumi della stessa età incirca etc. Ivi è una copia della versione latina del trattato di Grossolano; e a risguardo di due manoscritti due fogli in unciale di due Messali Romani, di cui uno più antico direi dell'VIII sec. se non mi paresse la minuscola dei responsorii assai meno antica. Avrei terminato la copia di questi, se proprio all'ultima ora non mi fosse toccato di sostenere la conversazione del Canonico introduttore e d'un altro Giovane, a cui mi raccomandarono dessi instruzioni per la compilazione d'un catalogo della ricchissima collezione di stampe di musica sacra del 1500 e 1600. Terminerò altra volta in passando. I S.i Canonici, che non si raccapezzano in quella Biblioteca quando vengono forestieri a chieder Codici né loro danno tanta libertà di ricerche come a me prete per eccezione, volevano che io ne facessi per loro uso un catalogo, che li traesse d'imbroglio. Risposi, che ora non poteva. Certo è deplorevole, che nessuno di loro s'intenda e si occupi di quel bell'Archivio. [...]
In conclusione: ho fatto un viaggettino abbastanza istruttivo e fruttuoso per me, e per la stagione non così gravoso come potevasi attendere.»
(Giovanni Mercati, lettera a Antonio Maria Ceriani, Roteglia 10 agosto 1895, p. 171-173)
Mercati (1898-1904)
«Perdoni, se ho fino ad oggi tardato a scrivere la lettera di dimissione [da dottore della Biblioteca Ambrosiana]: durante il viaggio non ne avevo tempo né voglia. – Per l'assenza del P. Ehrle non so ancora che mi dovrò fare. – Ieri per curiosità esaminai il cod. 264 d'Holmes - Parsons; è singolare assai, e nella catena (tra cui si trovano gli scoli esaplari) è diverso assai dal nostro Palinsesto Ambrosiano. Lo studierò meglio. A Firenze [nella Biblioteca Laurenziana] trovai un fratello maggiore del C 98 Sup., meglio conservato e più antico di lui. Per me è una ventura, potendolo avere a prestito.»
(Giovanni Mercati, lettera ad Antonio Maria Ceriani, [Roma] 2 ottobre 1898, p. 175-176)
«Finora ho potuto studiar poco, perché abito lontano dalla biblioteca, e non vi posso tornar il dopo pranzo. Da qui innanzi, vi resterò fino alle 4 1/2 pomeridiane, e allora potrò spingere avanti i lavori costì incominciati. P. Ehrle è benissimo disposto per me e per i miei studî, e mi è largo di tutte le agevolezze che può farmi. E ringrazio Lei, che alla venuta di lui costì, volle parlargli in mio favore rammentandogli le mie strettezze. P. Ehrle ne fu tocco, e me lo disse appena giunse. Così io spero, che a tempo opportuno mi si provvederà convenientemente.
In biblioteca c'è da lavorare non poco; ma lo fo volontieri, perché veramente ce n'è di bisogno.»
(Mercati, lettera a Ceriani, Roma 4 novembre 1898, p. 182).
«Finora io mi debbo sacrificare affine di mettere assieme col buon Padre Ehrle in assetto questa biblioteca. Decine di migliaia di volumi giacevano in angoli; e persone che da 10 e 20 anni sono qui non ne sapevano e non ne curavan niente! È un orrore, perché intanto si spendeva e si correva il rischio di spendere per colmare lacune, che esistevano solo nella mente nostra. E poi, fuori del P. Ehrle, nessuno s'intende di libri, o ci ha passione: vorrebbero avere la pappa fatta, cioè trovar pronto quello che loro bisogna, senza far fatica. Ed è pure orribile a dirsi, che delle publicazioni fatte da personaggi della Biblioteca qui non se [ne] trova quasi nessuna: [...] eppure vivono e scampano alle spese della Biblioteca senza aiutarla; e se occorre, vedendo di mal occhio e facendo guerra a che vi si dedichi disinteressatamente con tutto il cuor suo. [...]
Dopo scritto quanto sopra, mi era come pentito, e voleva sopprimere la lettera; ma pensando che con Lei mi posso confidare pienamente, e che forse non Le sarà nemmeno inutile sapere certe cose e certi nodi, che una volta o l'altra dovranno pur venire al pettine, lascio correre. Così saranno tanto più contenti della loro e mia Ambrosiana, dove si vive in famiglia, e dove così alla buona c'è un ordine e c'è un catalogo quale sarà ventura aver qui dopo anni ed anni.»
(Mercati, lettera a Ceriani, Roma 7 marzo 1899, p. 190-192).
«Purtroppo qui [alla Biblioteca Vaticana] mancano certi libri, ma spero che presto avremo un sussidio straordinario per acquisto di libri biblici, e allora mi provvederò.»
(Mercati, lettera a Ceriani, Roma 25 gennaio 1904, p. 235).
Messedaglia (1929-1930)
«Illustre Maestro,
nel mentre La ringrazio del Suo gentilissimo biglietto, La informo che non sono riuscito a saper nulla circa la provenienza alla nostra Comunale del volume vichiano, di cui Le ho scritto giorni fa. Del Bianchini la Comunale non possiede carte; a parte 125 lettere copiate dagli autografi posseduti dal bolognese conte Giovanni Gozzadini: lettere da Roma, 1701-1729, dirette ad Alessandro Maria Gozzadini.»
(Luigi Messedaglia, lettera a Benedetto Croce, Verona 7 marzo 1929, p. 6. La corrispondenza precedente su queste richieste d'informazioni non è conservata).
«La informo (certo di non farLe cosa sgradita), che nelle carte del Bianchini, conservate presso questa Capitolare, non esiste nulla del Vico. Del pari, nulla del Vico nel carteggio di Scipione Maffei, anche conservato nella nostra Capitolare.»
(Messedaglia a Croce, Verona 24 marzo 1930, p. 7).
Messedaglia (1950)
«Quaranta anni di vita pubblica non mi hanno dato che poche soddisfazioni, e molte amarezze; e alla camera dei deputati (dove entrai giovanissimo, nel 1909), e in senato, ho sempre finito col preferire, alla vita dell'aula e dei corridoi, quella della biblioteca!»
(Luigi Messedaglia, lettera a Benedetto Croce, Arbizzano da Valpolicella, 1° giugno 1950, p. 47)
«entrato, nel novembre 1909, nella Camera dei deputati, giovane e brillante deputato, per Verona I, frequentai, più che l'aula, la biblioteca: dove conobbi La critica e i volumi del Croce. Rimasi conquistato. Mi procurai subito tutte le cose del Croce. Con lui, sino al 1929, non ebbi che relazione epistolare, cominciata nel 1913. Nel 1929, entrato in Senato, mi affrettai a rendergli omaggio: erano i giorni, ricordo, della discussione dei patti lateranensi. Egli fu con me amabilissimo»
(Luigi Messedaglia, lettera a Fausto Nicolini, 7 marzo 1950, p. VIII, con refuso nella data 1909)
Messedaglia-Croce (1945-1946)
«Unisco l'appunto (certo, porto vasi a Samo) sull'autografo di Eleonora de Fonseca Pimentel, indirizzato alla veronese Silvia Curtoni Verza: autografo, che, sino ad ora, non siamo riusciti a rintracciare.»
(Luigi Messedaglia, lettera a Benedetto Croce, Arbizzano di Valpolicella 9 agosto 1945, p. 25).
«Quanto alla lettera della Fonseca, non ho perduto le speranze di rintracciarla: Le saprò dire.»
(Messedaglia a Croce, Arbizzano di V. P. 4 settembre 1945, p. 27).
«Non ho perduto del tutto la speranza di rintracciare la nota lettera di Eleonora de Fonseca a Silvia Curtoni Verza. Certe carte Giuliari sono tuttavia «sfollate»; ma presto faranno ritorno nella Comunale veronese: e forse fra le stesse si potrà trovarla.»
(Messedaglia a Croce, Arbizzano di Valpolicella 5 ottobre 1945, p. 28).
«Non mi sono dimenticato di quella tal lettera di Eleonora de Fonseca, ricordata dal Montanari nella Vita della Verza. Ma, nella Comunale della mia Verona, le carte Giuliari e Sagramoso, già sfollate, non sono ancora visibili!»
(Messedaglia a Croce, Arbizzano di Valpolicella 19 febbraio 1946, p. 30).
«Illustre Maestro,
finalmente, ritornate ai loro luoghi nella Comunale di Verona, dopo lo sfollamento, le buste delle carte Giuliari, il prof. [Gino] Sandri, direttore della veronese Sezione di Archivio di Stato, vi ha cercato la lettera di Eleonora de Fonseca Pimentel, di cui Bennassù Montanari, a p. 119 della sua Vita di Silvia Curtoni Verza. Purtroppo, la lettera non è stata rinvenuta. Nulla, del pari, nell'«autografoteca», e in altre raccolte della Comunale. Non sappiamo proprio, il Sandri ed io, dove e come quella carta possa essere andata a finire. Distrutta o alienata, no: da che mons. Giuliari era un meticoloso e gelosissimo erudito (lo ricordo in casa mia, più di mezzo secolo fa, quando predicava, che non bisogna mai distruggere carte!).
Ho fatto presente al Sandri la possibilità, che lettere, o ricordi, di Eleonora de F. P. esistano nel carteggio (non ricco, ma sceltissimo) del veronese marchese Michele Enrico Sagramoso, balì di Malta, che visse a Napoli, festeggiatissimo dalla buona società e dai dotti, gli ultimi anni della sua vita [...] e vi morì nel 1791. Ma niente, di E. de F. P., nemmeno nel carteggio Sagramoso. Abbiamo perduto presso che ogni speranza: comunque, cercheremo ancora...»
(Messedaglia a Croce, Arbizzano di Valpolicella 18 maggio 1946, p. 31).
«Grazie di quanto ha fatto per la ricerca della lettera della Fonseca. Sarebbe stata una bella cosa se si fosse ritrovata. Io per quella donna ho una speciale devozione da vecchio napoletano, che ha nel cuore i patrioti del '99.»
(Croce a Messedaglia, 4 giugno 1946, p. 32).
«Non escludo che quella tal lettera di donna Eleonora possa, un giorno o l'altro, «saltar fuori». Il Montanari non può avere inventato; e, d'altra parte, mons. Giullari (che io, da ragazzo, ho conosciuto da vicino) era un meticolosissimo conservatore di carte.»
(Messedaglia a Croce, Arbizzano di Valpolicella 9 giugno 1946, p. 33).
«Illustre Maestro,
[...] ho scoperto — finalmente! — il filo conduttore buono.
Giuseppe Biadego, editore del Carteggio d'una gentildonna veronese (la Curtoni Verza), Verona, 1884, accenna, a p. XII, a una busta della Comunale di Verona, contenente lettere di illustri personaggi alla bella Silvia. Pensai che in quella busta potesse trovarsi la lettera desiderata: collocata nella stessa o dal Biadego, bibliotecario, o, più probabilmente, da mons. Giambattista Carlo Giuliari (che il proto Le ha tramutato in Giuliani). E non mi sono sbagliato. Non potendo io, di questi giorni, muovermi, ho scritto al mio bravissimo Sandri, direttore della Sezione di Archivio di Stato di Verona.
Ora, Lei veda cosa mi dice, in data di ieri, il Sandri (non mi restituisca la sua lettera). La missiva di donna Eleonora, già pubblicata nel 1880 nel Baretti, è certo, se non erro, da identificare con quella, di cui parla, a p. 119 della sua Vita della Verza, il conte Bennassù Montanari; e la destinataria l'ebbe durante la sua dimora partenopea del 1790.»
(Messedaglia a Croce, Arbizzano di Valpolicella 30 novembre 1946, p. 34. La lettera di Sandri non è conservata).
«A proposito del Croce calligrafo: son riuscito a leggere, oggi, senza troppa difficoltà, una sua amabilissima cartolina in data del 5 corr. Egli mi ringrazia, perché, dopo non poche ricerche infruttuose, son riuscito a scovargli, nella Comunale di Verona, una lettera di Eleonora de Fonseca Pimentel, del 1790, alla bellissima (salvo i piedi, che erano brutti) veronese Silvia Curtoni Verza.»
(Messedaglia, lettera a Fausto Nicolini, 10 dicembre 1946, p. 35 nota 1. La cartolina di Croce non è conservata).
Michelstaedter (1906)
«Oggi sono alla Marucelliana e sono attorniato come sempre da gente che mi urta i nervi: uno ‘lalla’, uno chiacchiera a bassa voce, un altro per scrivere fa di quei visi come la signora Pradarutti...»
(Carlo Michelstaedter, lettera alla famiglia, 5 marzo 1906, p. 109)
Mila (1935)
«Qui mi hanno già dato dei libri da leggere e cosí mi distraggo completamente dalla realtà che ho intorno; dormo anche molto.»
(Massimo Mila, lettera alla madre dalle Carceri giudiziarie di Torino, 16 maggio 1935, p. 6. Mila era stato arrestato il giorno precedente perché sospettato di far parte del gruppo clandestino di Giustizia e libertà)
«Io continuo a star benissimo: fortunatamente non fa caldo, e il sonno non m'abbandona mai: ogni notte faccio delle invidiabili dormite. Leggo sempre dei libri e i soliti giornali sportivi e illustrati. [...] Prendo anche aria e faccio del moto, i libri mi permettono di distrarmi quando non dormo o non mangio; ogni giorno faccio qualche esercizio di ginnastica svedese per non arrugginirmi.»
(lettera del 22 maggio 1935, p. 11-12).
«Io vivacchio sempre allo stesso modo e, a poco a poco, faccio l'abitudine a questa vita e tra poco mi dovrò sforzare per ricordarmi che si può vivere diversamente. In fondo, non c'è gran male a leggere tutto il giorno; con una regolare passeggiatina al mattino, e gli intervalli dei pasti; naturalmente, molto del mio benessere dipende dalla qualità dei libri che il bibliotecario riesce, con molta buona volontà e intelligenza, a trovarmi: qualche volta sono costretto a stordirmi leggendo ottusamente dei mediocri romanzacci, ma in genere, invece, ho dei libri buoni e divertenti; ultimamente, poi, un volume delle Cose viste di Ojetti mi ha fatto passare un'ottima giornata.»
(lettera del 25 maggio 1935, p. 15).
«Cara mamma,
questa settimana andava tutto bene, avevo avuto dei buoni libri e dei giornali, molte vostre lettere, ero stato interrogato – il che, in questo mio isolamento, è uno svago –, avevo avuto la visita del cappellano, insomma tutto andava bene, i giorni passavano in fretta senza che me n'accorgessi [...].
L'unica con la testa sul collo è nonna, che mi ha scritto una cara lettera, del tutto ragionevole e sensata da capo a fondo. [...] Le dirò, per sua consolazione, che qui ho avuto occasione di leggere molti libri assolutamente edificanti (cosí fossero stati altrettanto interessanti!), come Ben Hur e Quo vadis?, e che a leggere la sua lettera, in certi passi, mi pareva di non aver cambiato lettura e di continuare a leggere le prediche dell'apostolo Pietro nelle catacombe.»
(lettera del 14 giugno 1935 dal Carcere di Regina Coeli, dove Mila era stato trasferito alcuni giorni prima, p. 25, 27).
«Tra poco spero che mi venga concesso l'uso dell'inchiostro e della penna in cella; ho dei buoni libri e cosí faccio passare il tempo.»
(lettera del 17 giugno 1935, p. 29).
«Ho avuto la penna, l'inchiostro e un quaderno e mi sono fatto comperare il Metodo Lysle per il tedesco e un dizionario tedesco: cosí il pericolo d'annoiarmi è per sempre scongiurato. Poi ho sempre dei libri; con l'«Illustrazione Italiana» mi metto al corrente di tutto quel che avviene in giro, ho notizia dei libri che escono, delle commedie e dei film, e perfino dei programmi della radio.»
(lettera del 21 giugno 1935, p. 30-31).
«Io qui, e specialmente a Torino, ho avuto tempo di leggere tanti grandi libri che non avevo mai avuto tempo di leggere (e chissà quando l'avrei avuto), ho letto Goethe, ho letto Oriani, ho riletto Nievo, voglio leggere Platone e Rousseau, e tutto questo con un gusto, una soddisfazione che da tempo non provavo piú.»
(lettera del 24 giugno 1935, p. 32).
«Io non ho niente di nuovo da raccontare: studio tutto il giorno, o il tedesco, o la filosofia di Gentile, o la storia di Oriani. Il cappellano mi ha anche fatto avere un Orazio completo, se pure pudicamente espurgato, e un libro di Giacosa sui castelli della Val d'Aosta. Con l'«Illustrazione Italiana» mi tengo ampiamente al corrente di quel che succede in giro.»
(lettera del 28 giugno 1935, p. 36-37).
«Vedo che continui a affannarti inutilmente in tutti i modi: hai saputo che qui c'è una biblioteca speciale e mi chiedi se ne usufruisco. Ma si capisce; non te l'ho già detto mille volte, che ormai ho da leggere, ottengo ottimi libri? Ti prego per la centesima volta di smettere ogni preoccupazione per le mie condizioni qui: tutto quel che è possibile ottenere, ce l'ho, quel che non è possibile, non c'è lamentele che valgano a procurarlo, dunque mettiti in pace una volta per tutte. [...]
Io sto sempre bene; continuo a leggere e a studiare come un benedettino, e mi metto su all'ingrosso una cultura filosofica: adesso sto studiando l'Etica di Spinoza, che è, per colmo di complicazione, in latino. Ma ho anche letture meno massicce, tra l'altro, due altri volumi delle Cose viste, di Ojetti.»
(lettera del 26 luglio 1935, p. 56-58).
«E al mio professore [Augusto Monti] avete mandato i miei ringraziamenti e i miei saluti? Se gli scrivete, comunicategli le letture che faccio qui: Oriani, Gentile, Beccaria, Goethe, Rousseau, Sarpi, Spinoza, Locke, ecc. – Quando sono stufo di letture tanto serie, allora mi attacco a Ojetti, che mi fa fare ogni tanto, nonostante la scarsa allegria della mia situazione, qualche risata di gusto.»
(lettera del 29 luglio 1935, p. 59-60).
«In questi giorni, rileggendo Le crime de Sylvestre Bonnard, di Anatole France, pensavo che mi divertirebbe tradurlo, se si trovasse un editore disposto a pagarmelo anche poche centinaia di lire.»
(lettera del 12 agosto 1935, p. 69).
«Io sto sempre bene. Ho avuto finalmente dei libri, e cosí passo di nuovo il tempo.»
(lettera del 23 agosto 1935, p. 75).
«Qui non c'è niente di nuovo. Sto bene, e leggo continuamente. Siccome sono daie daie, piú libri leggo e piú me ne vien voglia di leggere, per approfondire certi argomenti, o semplicemente per curiosità, e faccio grandi progetti di acquisti, che poi fortunatamente non metto in pratica. [...]
Saluta tanto nonna, e abbracciala per me; ringraziala tanto della sua lettera, e spiegale che parlo meno frequentemente del cappellano, perché lo vedo raramente: è molto occupato, e viene quando può, portandomi sempre qualche libro o rivista.»
(lettera del 30 agosto 1935, p. 80).
«Qui non c'è niente di nuovo, salvo che il prezzo dei cibi cresce continuamente, e tutto va di nuovo alla diavola, come nel periodo di ferragosto: sono di nuovo lasciato senza libri, e da molti giorni non riesco piú a ottenerne né dalla biblioteca circolante – che circola malissimo – né facendomene comperare.»
(lettera del 4 ottobre 1935, p. 97).
«Cara mamma,
ho ricevuto molta posta arretrata e anche dei libri, cosí mi è ormai passata l'irritazione che mostravo nella mia ultima lettera e che ti avrà certo preoccupata.»
(lettera del 7 ottobre 1935, p. 98).
«Di' a nonna che il cappellano mi provvede spesso di letture estremamente edificanti: risultato nullo.»
(lettera del 20 dicembre 1935, p. 135).
«Io sto benissimo e da molti mesi sono di umore uguale e assai buono; barcamenandomi tra il potere civile e quello spirituale – voglio dire tra la biblioteca speciale del Direttore e quella del Cappellano – riesco ad avere sempre dei libri, e per tappare eventuali buchi ne tengo in riserva alcuni che ho comperato e non ancora letto.»
(lettera del 23 dicembre 1935, p. 136).
Mila (1936-1939)
«Da quindici giorni qui non mi danno piú libri, ma con qualcuno che mi ero comperato, con qualcuno che mi passa il cappellano, e con le molte idee che ho in testa (veramente, molte no, ma fertili), passo il tempo benissimo ugualmente. Intanto può darsi che chi si occupa della biblioteca digerirà i panettoni, e piano piano è capace magari di rimettersi al lavoro.»
(Massimo Mila, lettera alla madre dalle Carceri di Regina Coeli, 3 gennaio 1936, p. 150. Per il periodo precedente vedi Mila (1935). Di molte altre letture menzionate non si specifica la fonte).
«Di' a nonna che la ringrazio moltissimo della sua cara lettera, e che stia tranquilla, che il cappellano viene ancora ogni tanto a trovarmi e mi provvede sempre di libri.»
(lettera alla madre, 3 aprile 1936, p. 193).
«Altre novità niente, eccetto che ho di nuovo in lettura anche i libri della biblioteca speciale, cosí non mi capita mai di annoiarmi. Quanto a riceverne, ti ho già scritto venerdí scorso che non è possibile, quindi ringrazia ugualmente le case editrici che me ne hanno offerti.»
(lettera alla madre, 22 maggio 1936, p. 209).
«È stata un'idea eccellente quella di mandarmi l'articolo su Dos Passos, che ha interessato molto anche i miei compagni: avevamo infatti già chiesto di comperare 42° Parallelo, e New York c'è anche qui nella biblioteca.»
(lettera alla madre, 20 novembre 1936, p. 253).
«Alle volte mi preoccupa veramente il fatto che, uscito di qui, non potrò piú continuare a leggere quanto posso qui, grazie alle biblioteche del carcere e, sopra tutto, grazie al tuo ultrageneroso mecenatismo; e poi qui non ho nient'altro da fare.»
(lettera alla madre, 4 marzo 1938, p. 446).
«Noi siamo di nuovo a corto di libri, perché, oltre alla recente proibizione di comprar più di 2 libri al mese, è un anno e piú che non ci vengono piú dati i libri della biblioteca speciale del carcere.»
(lettera alla madre, 19 gennaio 1939, p. 588).
«PASTOR, Storia dei papi, vol. XVI [...]
Con questo ho finito i 20 volumoni di quest'opera colossale, che ho potuto leggere grazie alla grande cortesia del Cappellano che me l'ha prestata. Senza quest'occasione non l'avrei certo mai studiata, e certamente merita d'esser conosciuta, per l'enorme erudizione e anche per una certa lealtà di esposizione storica, benché, naturalmente, sia retta da criteri e opinioni lontanissimi dai miei.»
(lettera alla madre, 26 marzo 1939, p. 611).
«M'è capitato di leggere, in inglese, il I° vol. d'un romanzo che tu hai letto qualche anno fa, Il mulino della Floss, della Eliot, e m'è piaciuto moltissimo: ma qui ce n'era solo il I° volume.»
(lettera alla madre, 17 settembre 1939, p.683).
«Figurati che ho trovato qui nella biblioteca il libretto di Stampini sulla metrica di Orazio, e ora me lo sto ristudiando in memoria di quel buon vecchietto. Poi mi sono ingolfato a leggere i romanzi di Goethe in tedesco: ne leggo 10-12 pagine al giorno, in principio con una fatica bestiale, adesso va già un po' meglio.»
(lettera alla madre, 3 dicembre 1939, p.720).
