L&L si propone di raccogliere e mettere a disposizione testimonianze di ogni genere relative all'utilizzazione di biblioteche di
qualsiasi tipo, contenute in scritti autobiografici, diari, memorie, interviste, carteggi, ecc., ma senza escludere testi narrativi o creativi (romanzi, poesie), per restituire la dimensione soggettiva ed esperienziale, sia positiva sia negativa, dell'uso delle biblioteche.
Sono comprese, quando è utile, anche fonti un po' diverse come articoli di giornale, inchieste, materiali promozionali, ecc.
Alle testimonianze si affianca una scelta di documentazione iconografica (utilizzabile anche a scopo didattico), relativa alle biblioteche considerate, ai loro locali e alle loro attrezzature, indispensabile per la piena comprensione delle testimonianze stesse.
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Risultati della ricerca
Praz (1924)
«la sua recensione la metterò accanto all'altra grande onorificenza che questo libro m'ha procurata: un bello e candido attestato di ringraziamento del British Museum – pel dono d'un esemplare: che è come dire: la benedizione del Papa.»
(Mario Praz, lettera a Emilio Cecchi, Firenze 27 giugno [1924], p. 65-67. Si riferisce a Carlo Lamb, Saggi di Elia, traduzione, introduzione e note di Mario Praz, Lanciano, Carabba, 1924)
Prezzolini (1901)
«Oggi sono stato a la biblioteca Nazionale per prepararmi a la visita delle catacombe e per certe notizie su delle basiliche romane; edizione riveduta e corretta della Nazionale di Firenze, le tre ore che vi ho passate sono uno «specimen» insuperabile del modo in cui sono tenute le Biblioteche. All'entrata vi consegnano una tessera, di cui metà si consegna prendendo i libri, e metà si tiene per sé, per riaverla quando si riprendono i libri e per potere uscire di biblioteca. Il tempo medio d'aspettativa è una mezz'ora, io però ho aspettato 3/4 d'ora e ho sentito una questione coll'impiegato di un signore che era lì da le 11 1/2 (eran le 13) e che ebbe per tutta risposta che scusasse quella «inavvertenza», un altro che chiese il Mulhouse [ma Millhouse] voc.[abolario] inglese si sentì rispondere: manca; a un terzo poi, fu rimandata la scheda con «a legare»; ne nacque una questione perché lo aveva chiesto un mese prima e gli era stata data la stessa risposta; insomma anche questo libro mancava, perché «queste cose accadono». A farlo apposta non potevo essere meglio edificato; purtroppo mi toccherà tornarci ancora. Entro la sala di lettura le solite signorine e signorini; i soliti morti sul campo di battaglia come io ho chiamato gli addormentati; al banco mio eravamo quattro, di cui due addormentati; vi prego credere che io non era fra questi.»
(Giuseppe Prezzolini, lettera a Giovanni Papini e Luigi Morselli, Roma 9 luglio 1901, p. 79-80)
Prezzolini (1902-1916)
«Vento, sentieri e cime son simboli del nostro vivere libero, selvaggio, ribelle. Li cerchiamo nelle passeggiate che facciamo per i colli vicini a Firenze. [...] I cieli che ci coprono sono azzurri, perché scegliamo le giornate migliori, ma non ci fan paura quando le nuvole anneriscono l’orizzonte. Sturm und Drang, m’ha insegnato Papini. Questo cielo ci accompagna in biblioteca. Anche lì cerchiamo sentieri e non strade maestre. Fiori di campo ci piacciono più di quelli di giardino. Anche fra i libri: il rozzo, il sincero, il semplice. Meglio la cappella romanica di campagna che i duomi fastosi di città.».
(Giuseppe Prezzolini, Diario 1900-1941, p. 43-44. Appunto datato 1902, senza indicazione di giorno e mese)
«Riposo di biblioteche. Conosco le ore migliori.».
(Ivi, p. 46. Appunto datato Parigi 4 novembre 1902; a Parigi Prezzolini frequentò soprattutto la Bibliothèque nationale de France e la Bibliothèque Sainte-Geneviève)
«Dio non mi parla e il diavolo neppure, nemmeno in sogno, sebbene la provocazione ci sia con le mie letture su questo soggetto in biblioteca. [...] Studio Bergson.».
(Ibidem. Appunto datato Parigi 5 novembre 1902)
«In biblioteca la testa ha ceduto alla stanchezza e poi ho smarrito la cannuccia che porto sempre con me.».
(Ivi, p. 47. Appunto datato Parigi 6 novembre 1902)
«Oggi orgoglioso di aver capito [in biblioteca] tante pagine del Bergson, di aver scoperto Rickert e di aver penetrato Paulsen.».
(Ibidem. Appunto datato Parigi 8 novembre 1902)
«Più in là Papini potrà guadagnare molto, ma ora non so come faccia a campare, ed ha anche delle noie per il Crepuscolo con certe canaglie di Milanesi che non gli pagano le percentuali. Il posto dove stanno è bello, ma quando piove dev’esser molto triste. Troppo chiuso. Dalla loro situazione ora son venuto ad apprezzare tanto di più Dolores, che ha passato tanto tempo sola con me in quella non mai abbastanza maledetta Perugia, buco pieno di vespaccie rumorose e pungenti. Al contrasto con essa dobbiamo lo straordinario benessere di cui godiamo a Firenze, io per la comodità di biblioteche e di uomini, Dolores per le distrazioni, e tutti e due insieme per non dover sopportare più uno dei più pettegoli paesi. Il povero Croce era tempestato di lettere anonime che denunziavano le corna della sua Nella. Ma lui ci rideva sopra.».
(Ivi, p. 80. Appunto datato [Firenze] 24 ottobre 1907; il 19 marzo 1905 Prezzolini sposò a Milano Dolores Faconti e con lei visse a Perugia sino all’ottobre 1907)
«[Fortunato] Pintor molto serio e preciso, disse poche cose giustissime, senza mai animarsi. [Fedele] Baiocchi mi raccontava che era molto buono nella Scuola (Normale Superiore) di Pisa, ne parlavan come d’un santo. Ne ha la faccia, ossuta, e la calma della voce. È bibliotecario del Senato, della forse meglio organizzata biblioteca d’Italia. Non ci son che sette o otto senatori che ci vanno a studiare e lo trattan da amico. Dovrebbe esser senatore lui.».
(Ivi, p. 86-88. Appunto datato Firenze 9 settembre 1909)
«Stasera tremenda serata, mal di testa, il bimbo strilla, bisogna ninnarlo, appena in braccio sta zitto, se mi metto a sedere riapre la bocca per strillare. Vien voglia di strozzarlo – diceva [Giovanni] Amendola del suo. Ora però mi capita meno di rado il senso di dover abbandonar tutto questo. Mi ricordo d’esser passato a traverso questi momenti altre volte e mi calma. Passerà anche questa. Tornerà la voglia di scrivere e di lavorare e le belle giornate riempite da mattina a sera. Domattina andrò in biblioteca. Ma tutto questo tempo perso come mi pesa sul cuore. Quanto avrei potuto fare!».
(Ivi, p. 106. Appunto datato Firenze 1° marzo 1911)
«Come vorrei, alle volte, cacciarmi in biblioteca tutto il giorno, e la sera avere qualche libro di Vieusseux, e in casa riprender la vita d’un tempo, tra me e Dolores, facendo la cucina e tenendo la nota delle spese. Passerei quieto il tempo e la fantasia occupata. Leggerei storie e romanzi e poesia, curerei dei testi, farei delle ricerche, e ricostruirei la vita di qualche persona seria di cento anni fa, non potendo io essere serio.».
(Ivi, p. 110. Appunto datato Firenze 7 aprile 1911)
«Domani ho intenzione di riprendere lo studio in biblioteca. E comincio anche il russo, tra un anno devo essere in grado di conoscere abbastanza per tradurre.».
(Ivi, p. 123. Appunto datato Firenze 1911, senza indicazione di giorno e mese)
«Passato anche oggi senza fare nulla col solito vuoto e stanchezza interna. Mi sono riabbonato a «Vieusseux» con l’intento di trovare il Journal d’un Écrivain di Dostojewsky [sic] sul quale voglio fare un articolo, diverso da quello di Papini e di Gide. Dostojewsky mi appare in certi lati di piccolezza e di malignità che essi non vedono.».
(Ivi, p. 128. Appunto datato Firenze 14 marzo 1912)
«Arriva il capocronista del «Popolo» di Mussolini con ordini di fare un «grande servizio» sul terremoto di Avezzano ma senza soldi, senza automobile, senza telegrammi. Cose all’italiana, insomma.
Riesco a penetrare in un bucolino d’automobile, del «Resto del carlino», ma vado dove fa comodo ai padroni; e poi lavoro in biblioteca, come fa comodo a me, sul Lago del Fucino e le sue vicende tecniche capitalistiche e sociali, imparando moltissimo, e facendo quello che gli altri giornalisti italiani non hanno mai imparato a fare.».
(Ivi, p. 149. Appunto datato Roma 15 gennaio 1915; il riferimento è probabilmente alla biblioteca della Camera dei deputati)
«Passo giornate nella biblioteca del Ministero degli Esteri a leggere libri d’ogni sorta sulla Dalmazia per uno scritto che darà dispiacere al padrone del palazzo signor Sonnino; e sono contentone quando mi metto a sedere in una saletta, dove non viene mai nessuno. Mi par d’avere una bomba nella testa. Tommaseo, Catteneo, Mazzini, Modrich, Pisani, Wilkinson, Freeman, Roesler, Jackson... in tutte le lingue, di tutti i secoli, di ogni origine mi fan scoprire, ridere, e scribacchio in fretta i miei appunti sul mio taccuino.».
(Ivi, p. 154-155. Appunto datato Roma 12 aprile 1915; quell’anno Prezzolini pubblicò il volume La Dalmazia, Firenze, Libreria della Voce, 1915, nel quale auspicava un’intesa con gli slavi)
«Continuo nella Biblioteca Nazionale [di Firenze] le mie letture sulla Dalmazia. Son convinto di quel che dico, ma anche contento di far un dispetto a nazionalisti, imperialisti, gonfioni, superboni, ignorantoni nostrani.».
(Ivi, p. 155. Appunto datato Firenze 4 maggio 1915)
«Sono scosso. Non vedo chiaro. Mi sento disorientato. Non ho quasi nulla da fare. Ore di lavoro per me. Libri da varie biblioteche. Faccio persin ricerche nell’Archivio israelitico per una storia degli Ebrei durante il Risorgimento.».
(Ivi, p. 212. Appunto datato Vercelli 14 aprile 1916)
Prezzolini (1902a)
«Non rimetterti troppo al lavoro; occorrono allo spirito dei lunghi intervalli di tempo per pensare a sé stesso e sono forse più proficui di quelli in cui lo mettiamo a servigio delle idee altrui; [...] spesso noi ci lamentiamo di vaghi malesseri, [...] e la ragione è da trovarsi in una indigestione di idee. Io sto prendendone una, perché ho trovato un ricco magazzino alla Biblioteca Nazionale, ma penso smaltirla a poco a poco, appena lontano da Parigi. Perché non passerò l'inverno in questa tristissima e sconsolata città, dal cielo grigio e dalla infinita monotonia delle vie [...]. Appena il freddo, la nebbia, la pioggia, la neve e il fango ospiti invernali abituali di questa civilissima città faranno la loro apparizione, io dirò addio a le uniche cose che qui mi trattengono, tre isole di sogno per i mari deserti della volgarità, il Louvre, la Biblioteca Nazionale e quella di S. Généviève [!]. Fra queste passo la mia giornata e le mie sere, interessandomi molto alla filosofia della contingenza. [...]
Delle lezioni di cui mi chiedi non so nulla; ancora non sono stato alla Sorbona occupatissimo come ero in Biblioteca.»
(Giuseppe Prezzolini, lettera a Piero Marrucchi, [Parigi] 26 ottobre 1902, p. 3-5).
«Sfuggo nelle biblioteche a la preoccupazione che dà questa città; ma quivi mi seppellisco sotto i libri, e cercando il pensiero degli altri dimentico il mio; il mio cervello diventa un magazzino, tutto confuso e sottosopra, pieno di mobili d'ogni sorta, di tutti i tempi e gli stili; quando avrò tempo cercherò di mettere un po' di ordine. Per ora confusione e nebbia.»
(Prezzolini, lettera a Marrucchi, [Parigi novembre 1902], p. 6-7).
Prezzolini (1902b)
«Le mie avventure di Parigi son totalmente nuove. Leggo la collezione della «Revue de Métaphisique et de Morale» ogni sera alla Bibliothèque Sainte Geneviève. Me la serbano, perché bisogna chiederla en avance. Qualche volta viene a sedersi accanto a me un vagabondo che non s’è lavato da un mese, e come puzza. Ma io continuo nella mia lettura e nelle mie scoperte. È una liberazione. Non sentirsi più nella stretta del determinismo corporeo. Sentirsi come una molla libera. Un essere che crea. Non c’è scelta nella vita: c’è continua creazione. Vado avanti. Non son compreso. Parigi è triste ed è spaventosa per chi come me non ha molto da spendere, ed una tazza di un caffè è un lusso. Ma queste biblioteche, dove leggo tanti miei fratelli, tanti miei eguali, che rivelazione sono con le loro luci tranquille. Esco di là un altr’uomo. So che tutto quello che penso è dentro di me, una verità che mi stupirebbe o non sarebbe compresa da nessuno. Queste biblioteche mi meravigliano. Hanno dei libri che non abbiamo in Italia. Li danno in lettura al primo venuto come me, che non ha un titolo. A tutte le ore del giorno. Alcune fino alle dieci di sera, come Sainte Geneviève. Che cosa farei a Parigi senza questa biblioteca? Come passerei la serata, solo, con pochi soldi, senza sapere bene la lingua, in questo paese di specchi, di facciate, di riflessi, di fantasmi? La biblioteca è una delle poche cose reali di Parigi.».
(Giuseppe Prezzolini, Diario 1900-1941, p. 48-49; appunto datato 1902, senza indicazione di giorno e mese; nel 1902 Prezzolini soggiornò alcuni mesi a Parigi)
Prezzolini (1908)
«Di lavorare, abbiamo voglia. Già ci proponiamo di tener dietro a certi movimenti sociali che si complicano di ideologie, come il modernismo e il sindacalismo; di informare, senza troppa smania di novità, di quel che di meglio si fa all'estero; di proporre riforme e miglioramenti alle biblioteche pubbliche; di occuparci della crisi morale delle università italiane; di segnalare le opere degne di lettura e di commentare le viltà della vita contemporanea.»
(Giuseppe Prezzolini, La nostra promessa, «La Voce», 1, n. 2 (27 dic. 1908), p. 5).
Già nel Progetto di una rivista di pensiero in Italia, preparato qualche mese prima (ma pubblicato solo in seguito), Prezzolini aveva fatto riferimento alle biblioteche, affermando che la rivista doveva «dare larga parte a corrispondenze che trattino della vita intellettuale, dei circoli, delle conferenze, delle biblioteche, dei salotti, delle scuole e delle lezioni delle principali città d'Italia. Questo può essere utile anche in vista di raccogliere materiali per lo studio delle presenti condizioni della coltura italiana. Alle quali nei suoi aspetti generali (p.e. la scuola media, la centralizzazione romana, gli inconvenienti e le deficienze delle biblioteche ecc.) sarebbe opportuno dirigere continua attenzione e cura, proponendo miglioramenti pratici e denunziando gli abusi e le imbecillità.»
Prezzolini (1909)
«Ci credete?
Io no. Non ci credo più. È anche questa una frottola o una leggenda, che, come tutte le frottole e tutte le leggende, veleggia sopra il mare tranquillo e oliaceo dell’accettazione umana, finchè un vento di tempesta non la sommerga.
No, Firenze, sebbene abbia tante scuole e tante biblioteche, tanti professori e tanti laureati, non è una città intellettuale. O meglio, l’intellettualità di Firenze è una veste di ipocrisia e di abitudine per coprire la segreta vergogna di una delle cose che all’amore del sapere sono più opposte. L’intellettualità di Firenze funge da calzoni, da quei calzoni «che fatti per coprire la lussuria e la vergogna, noi abbassiamo tutte le volte che a quelle fa comodo». [...]
Non si tratta di frasi, ma di fatti. E mi accingo a darne le prove tratteggiando le varie istituzioni di coltura che possediamo a Firenze. Si prenda, ad esempio, il Gabinetto Vieusseux. Esso ha una tradizione incontestabile di serietà e di studio che ne fa uno dei più simpatici e rispettabili luoghi di lettura di tutta Europa. Il fondo antico di libri che possiede lo rende inattaccabile da qualunque concorrenza del genere; e sebbene ora, nelle compere, vi predomini un po’ troppo il gusto delle zitelle inglesi e delle signore sfaccendate della borghesia fiorentina e dei loro marmocchi, non si può negare che si indulge spesso a libri d’arte e di pensiero, o per lo meno, a ciò che per molti tiene la via di mezzo, a libri di storia e di politica. Una simile istituzione si trova però in grave pericolo. Se alla morte del signor Vieusseux, attuale proprietario, essa cade in mano di uno speculatore, ecco una gloria, ecco una tradizione, ecco uno strumento di coltura che finisce. A questo pericolo si voleva ovviare costituendo una società in accomandita, con un capitale di lire 300.000. I bilanci erano stati esaminati da persone di serietà indiscussa e di notoria competenza nelle questioni librarie. Il reddito degli azionisti sarebbe stato onesto. Ebbene: un Comitato, nel quale erano pure professori del R. Istituto di Studi Superiori, Consoli di vari paesi ecc. non è riuscito a trovare in Firenze quella miserabile somma che era necessaria per assicurarle, davvero, un titolo di città intellettuale. Si pensi che nelle Biblioteche pubbliche il servizio è (salvo che alla Marucelliana) lento, noioso, pieno di impacci burocratici e di vizi che neppur l’operosità e la rigidezza lodevole del Morpurgo hanno potuto ovviare; e che le glorie straniere e i libri interessanti vi penetrano, in media, cinque o dieci anni dopo che cominciano a escire dall’oscurità. Un comitato che presiedesse, invece, al Gabinetto Vieusseux, avrebbe il modo di riparare al grave inconveniente, consigliando saggiamente il direttore e collaborando agli scopi della coltura. Ma tutte queste ed altre riflessioni che si potrebbero fare, non sono state sufficienti perchè tanti di quei signori che bramano rappresentate l’intellettualità fiorentina e spendono in feste e fondano società che hanno servitori in marsina e fanno scampagnate in automobile con la scusa di vedere i monumenti antichi, abbiano trovato nelle loro saccoccie di che salvare l’avvenire del Gabinetto Vieusseux.
E sapete perché? Perché il Gabinetto Vieusseux è un’istituzione seria: perchè le signore patronesse non vi potrebbero offrire dei thè; perchè bisogna leggere in silenzio e non chiacchierare o giocare a tresette, come certi professori fanno tutte le sere in una società di autodicentesi intellettuali; perchè non ci sarebbe modo di farvi sfoggio di marsine, di cravatte, di titoli gentilizi o di titoli bancarii, di automobili e di servitori in livrea.
L’intellettuale fiorentino di fronte al libro e alla serietà recalcitra: e va a cercare le soddisfazioni dell’intelligenza in compagnia delle grandi signore. Se non gli date una carrozza, se non gli preparate un buon pranzo, e sopratutto una conversazione delicata, leggera e vuota di tutto ciò che appassiona e commuove, vi guarderà di mal occhio e non troverà in tasca neppure uno di quei napoleoni che sacrifica così volentieri per stare in una società dove non sia troppo seccato da cose serie e non sia costretto a pensare dopo pranzo, perchè tutti i medici gli hanno detto che fa male, né prima di pranzo, perchè ciò gli toglie l’appetito.
L’intellettuale fiorentino muore, in generale, di male di stomaco o d’una polmonite buscata a una serata di gala: non mai di mal di cervello.»
(Giuseppe Prezzolini, Firenze intellettuale. I. Il Gabinetto G. P. Vieusseux, «La Voce», 1, n. 4 (7 gennaio 1909), p. 15.)
Prezzolini (1910)
«Caro Croce,
stamani ho cercato alla B. Naz. [Biblioteca nazionale di Firenze] il lavoro del Symonds. Non c’era la traduzione e neppure l’annata 1888 della Fortnightly Rev. dove fu pubblicata a parte l’introduzione. Ho letto l’art. del Masi [Ernesto Masi, Carlo Gozzi e la commedia dell’arte, «Nuova Antologia», 109 (1890), p. 663-684] ed esso mi ha confermato nell’idea che i mutamenti cronologici e d’edizione non siano applicabili alla riedizione nostra, perché il Symonds ha spesso riassunto il testo e corretto dove era errato magari per volere stesso del Gozzi.»
(Giuseppe Prezzolini, lettera a Benedetto Croce, Firenze 28 febbraio 1910, p. 241)
Prezzolini (1923-1940)
«Studio alla New York Public Library. In ogni paese straniero ore di biblioteca, mie case. Domani inizio lezioni. Ho la testa piena di cose da dire, ma non so da dove comincerò.».
(Giuseppe Prezzolini, Diario 1900-1941, p. 372. Appunto datato New York 8 luglio 1923; in quell’anno Prezzolini accettò di tenere un corso estivo di letteratura italiana presso la Casa italiana della Columbia University)
«Lavoro a due monografie per Formiggini, che me ne ha chiesto una su Mussolini. Ho accettato, a patto di scriverne un’altra su Amendola, e passo dei pomeriggi alla biblioteca della Camera dei deputati per compilarla. Il bello sarà che tutti e due se ne avranno a male.».
(Ivi, p. 390. Appunto datato Roma 22 agosto 1924; quell’anno Prezzolini pubblicò il volume Benito Mussolini, e l’anno successivo Giovanni Amendola, entrambi presso Formiggini nella collana «Medaglie»)
«La Casa Italiana è affidata alla Italy-American Society. Direttore di questa è un professor Burchell. Ma chi fa tutto è il segretario De Bosis, quel caro ragazzo che anni fa raccomandai perché fosse chiamato in America a tener conferenze. De Bosis era un caro ragazzo, è ora un caro ragazzo e sarà sempre un bravo ragazzo, ma soltanto questo. Dirige la Casa Italiana con poesia. La Casa è un poema, in versi liberi. Non c’è ordine, disciplina, coordinazione, scopo. Non si sa perché funzioni e che cosa stia a fare. Le camere-appartamento che occupiamo sono una repubblica. L’ascensore è un mito. Il bibliotecario della Casa passa la notte a suonare i dischi, e ordina i libri più buffi, senza un piano prestabilito. Tutto si fa all’improvviso e talvolta riesce bene non si sa perché. Ma l’impressione generale è la confusione.».
(Ivi, p. 441. Appunto datato New York 1° novembre 1929; Adolfo Lauro De Bosis fu nominato segretario della Italy American Society nel 1928, e in quegli anni, a dirigere la biblioteca della Casa Italiana, era Henry Furst; cfr. ivi, la testimonianza di Mario Soldati del 1989)
«Visita di X. tutto scompaginato dalla notizia della mia nomina. Sa che io so come cura la biblioteca. A un bibliotecario che sta su la notte suonando dischi e dorme il giorno, io non credo.».
(Ivi, p. 452. Appunto datato New York 16 marzo 1930; dopo aver tenuto i corsi estivi nel 1923 e nel 1927, nel 1930 Prezzolini fu nominato professore di letteratura italiana e direttore della Casa Italiana presso la Columbia University a New York; il riferimento è al bibliotecario Henry Furst)
«Ieri visita di Malagodi e di Romoli della Banca Commerciale che nella biblioteca di Columbia trovaron libri e notizie per certi loro affari del Sud America. Gli scoprii un opuscoletto, che capii gli faceva molto comodo, cioè serviva a guadagnar denari. Mio destino: trovarli per gli altri.».
(Ivi, p. 565. Appunto datato New York 11 marzo 1937; il riferimento è a Giovanni Malagodi e Guglielmo Reiss Romoli)
«Curiosità immensa per la letteratura americana. Tutti ne chiedono. Che c’è di nuovo? Da Vieusseux i libri letti son d’autori americani: Faulkner e Hemingway, Lewis e Dreiser. Ma tutti romanzi: Lee Masters è sconosciuto.».
(Ivi, p. 573. Appunto datato 30 agosto 1937; tra luglio e settembre 1937 Prezzolini fu in varie città d’Italia)
«Ho perso, infatti, una cosa rara a New York; io ero solo ad abitare, se abitare vuol dire studiare e dormire, in una casa monumentale di sette piani, con biblioteca aperta, per me, anche di notte, dove passavo giorni interi e dopo le dieci di sera sempre, mezze notti.».
(Ivi, p. 650. Appunto datato New York 31 dicembre 1940; avendo rassegnato le dimissioni da direttore della Casa nel 1940, e conservando soltanto l’incarico di insegnamento, Prezzolini trascorse in quella data l’ultima notte come residente presso la Casa Italiana)
Prezzolini (1971)
«Cospicuo mi pare il silenzio della D.F.B. [Daria Frezza Bicocchi] sui libri, riviste e giornali antifascisti che per mia indicazione furono messi a disposizione del pubblico nella Biblioteca Paterno. Nessun altro si occupava di suggerire al bibliotecario i nuovi acquisti. Fui io che feci abbonare la biblioteca a «Giustizia e Libertà» allo «Stato Operaio» (anche per il mio gusto di sentire tutte le parti) e misi a disposizione di chiunque volesse prenderle dagli scaffali (senza neanche fare una scheda di richiesta) molte, se non tutte, le opere di Nitti, di Gobetti, di Jahier, di Salvemini. È strano che una egregia spulciatrice di frasi isolate non abbia pensato che questo era un fatto degno di nota. Forse perché senza intenzione di scherzare, avrebbe dovuto riconoscere che io ho contribuito alla diffusione delle idee dell'antifascismo, e mi merito una medaglia della Resistenza.».
(Giuseppe Prezzolini, A proposito di Casa Italiana alla Columbia University e di fascismo, p. 406. A seguito della pubblicazione del saggio Propaganda fascista e comunità italiane in USA: la Casa Italiana della Columbia University di Daria Frezza Bicocchi – apparso su «Studi storici» (11, n. 4, 1970) e assai critico verso Prezzolini e la sudditanza che questi ebbe verso il Fascismo durante gli anni della direzione della Casa Italiana –, il giornalista replicò con un saggio apparso sul successivo fascicolo di «Studi storici». Negli anni successivi Prezzolini ritornò in più di un’occasione sul suo operato negli anni newyorkesi, affrontandolo in particolare nel volume La Casa Italiana della Columbia University, Milano, All’insegna del pesce, 1976)
Prezzolini-Casati (1909-1910)
«Ancora non sono stato 1 volta a Fiesole o sui colli! e mai in biblioteca per me.».
(Giuseppe Prezzolini, lettera a Alessandro Casati, Firenze 16 luglio 1909, p. 110)
«Ti mando domani un pacco con molti libri tuoi trattenuti più del bisogno. – Vorrei sapere, anche a nome di Soffici, che libri si potrebbero consultare (con illustrazioni) sul Cremona, sul Bazzaro ecc. e su quelli citati da O.[jetti] nel Corriere.».
(Giuseppe Prezzolini, lettera a Alessandro Casati, Firenze 2 giugno 1910, p. 150)
«sul Cremona v. il volume illustrato di Giulio Pisa, che se non alla biblioteca troverete all’Istituto di Belle Arti di costì; sul Bazzaro un articolo apparso cinque o sei anni fa sull’Emporium. Anche sarebbero da consultare i cataloghi delle Esposizioni Milanesi fra il 70 e l’80: credo di possederne alcuni; ve li manderò appena di ritorno a Milano, fra una decina di giorni.».
(Alessandro Casati, lettera a Giuseppe Prezzolini, Monza 4 giugno 1910, p. 150-151)
«Credo di essere tuttora associato alla Bibliot. filos. – In caso che sì, desidererei avere il libro del Maturi: l’Idea di Hegel. Me lo potresti far spedire quassù? – Non mandarmi al diavolo...».
(Alessandro Casati, lettera a Giuseppe Prezzolini, [Zermatt] 28 luglio 1910, p. 165)
«La Bib. Fil. è chiusa. Però c’è Ferrando e proverò».
(Giuseppe Prezzolini lettera a Alessandro Casati, Firenze 1° agosto 1910, p. 168; in quegli anni Guido Ferrando era direttore della Biblioteca filosofica di Firenze)
«come va? A che cosa devo il tuo silenzio? Verrai a Firenze a tenere una conf. alla B.[iblioteca] F.[ilosofica] come mi dice Ferrando?».
(Giuseppe Prezzolini lettera a Alessandro Casati, Firenze 3 novembre 1910, p. 226)
«Contavo venire a Firenze in questi giorni, ma dovrò forse rimandare la mia gita a mezzo novembre».
(Alessandro Casati, lettera a Giuseppe Prezzolini, Milano 4 novembre 1910, p. 227)
Prezzolini-Croce (1907)
«Caro Croce,
per caso avrebbe lei, o ci sarebbe nella Bibl. Naz. di Napoli la raccolta dei Monatshefte der Comenius-Gesell.[schaft]. A me occorrerebbero, se mai, l’anno 1886, e l’anno 1902, per lavori che riguardano la Deutsche Theologie.»
(Giuseppe Prezzolini, cartolina a Benedetto Croce, Perugia 8 aprile 1907, p. 74. L'anno 1886 dovrebbe essere una svista, dato che la rivista iniziò nel 1892).
«Cariss. Prezzolini,
non vi risposi subito, ma feci ricerca dei Monatshefte der Com.[enius] Gesell.[schaft], e non li trovai nelle biblioteche di qui.»
(Benedetto Croce, cartolina a Giuseppe Prezzolini, [Napoli] 18 aprile 1907, p. 75. Secondo l'Elenco delle pubblicazioni periodiche straniere acquistate dalle biblioteche pubbliche governative del Regno d'Italia, anno 1913, compilato dal dott. Giuseppe Gulì, Roma, Loescher, 1915, il periodico non era posseduto da nessuna biblioteca statale italiana).
Prezzolini-Croce (1910)
«Ho parlato con [Romain] Rolland a Parigi che mi ha detto, fra le altre cose, che la biblioteca musicale di Napoli si trova in uno stato indecente, e che a un suo scolaro, ora in Italia, certo Prumes [?] vengono [sic] rifiutato ogni manoscritto. Rolland che conosce bene le biblioteche musicali di Italia dice che bisognerebbe far cessare questo sconcio, il quale permette anche la facile emigrazione in America di preziosi manoscritti musicali. Nessun controllo viene esercitato. Appena io avrò documenti aprirò una campagna. Intanto ho consigliato lo scolare di Rolland a rivolgersi a lei. E le sarò grato se lei mi saprà dire qualche cosa della questione, forse non nuova neppur per lei.»
(Giuseppe Prezzolini, lettera a Benedetto Croce, Firenze 27 marzo 1910, p. 246)
«Carissimo amico,
[...] Ciò che dice il Romain Rolland non mi stupisce. A capo del Conservatorio di Napoli è un eccellente gentiluomo, di specchiata probità, il Duca del Balzo, il quale, per altro, ha cieca fiducia nel bibliotecario Rocco Pagliara: una mia vecchia conoscenza, che non sono riuscito a conoscere ancora bene. Certo, è geloso, puntiglioso, prepotente, e diffidente. Né ha mostrato mai di aver competenza negli studi di storia musicale. Se lo scolaro del Rolland si dirige a me, procurerò di appianare le difficoltà, adoperando un po’ di diplomazia. Magari, potrò condurlo io stesso dal Pagliara, e, se sarà il caso, dal Del Balzo»
(Benedetto Croce, lettera a Giuseppe Prezzolini, [Napoli] 28 marzo 1910, p. 247)
Prezzolini-Marrucchi (1906-1909)
«Il mio Eckhart sia che lo renda alla Bib[lioteca di] S[cienza] F[ilosofia] R[eligione], o lo tenga io, sarà sempre a tua disposizione.
In Bibl. Naz. esiste il Preger? e quali altre opere di mistici tedeschi? Hai veduto una collezione di testi tedeschi medievali edita dal Denifle? C'è in B. Naz. il solo titolo generale e non so cosa contenga.»
(Giuseppe Prezzolini, lettera a Piero Marrucchi, Perugia 9 dicembre 1906, p. 27-28. Per Eckhart, Prezzolini si riferisce probabilmente alla traduzione in tedesco moderno del 1903, posseduta dalla Biblioteca filosofica).
«Grazie anche del M. Eckhart; avendone bisogno ne profitterò. Il Pfeiffer c'è anche in Bibliot. Naz., 2° volume dei Deutsche Mystiker des 14ten Jahrhun. (il 1° vol. contiene scritti di Hermann von Fritslar, Nicolaus von Strassburg, David von Augsburg). Il Preger, ch'io sappia, non c'è.»
(Piero Marrucchi, lettera a Prezzolini, Firenze 17 dicembre 1906, p. 29).
«Caro Prezzolini,
credo di aver lasciato a casa tua Kokoro di Hearn, che avevo preso dalla biblioteca di P. [piazza] Donatello. Potresti, se ti capita di passare da Borgo Albizi, lasciarlo al mio studio?»
(Marrucchi, cartolina a Prezzolini, Gaville 14 ottobre 1907, p. 42. Marrucchi si riferisce probabilmente alla recente traduzione italiana, ma la Biblioteca filosofica possedeva anche un'edizione in inglese).
«Caro Marrucchi,
a Cecchi occorrono per ragioni di biblioteca i due volumi del Preger. Fa di mandarli più presto che puoi a lui o a me, o di lasciarli allo studio dove ripasserò.»
(Prezzolini, lettera a Marrucchi, [Firenze dicembre 1907], p. 48. Non risulta a quale biblioteca Cecchi dovesse restituirli).
«Troverai le bozze in biblioteca [Biblioteca filosofica].»
(Prezzolini, biglietto a Marrucchi, [Firenze 12 ottobre 1909], p. 50).
«Il tuo ms è in tipografia e lunedì ne avrai le bozze alla B[iblioteca] F[ilosofica].»
(Prezzolini, cartolina a Marrucchi, Firenze 14 ottobre 1909, p. 51).
«Ti prego di lasciarmi una risposta alla Biblioteca Fil.»
(Marrucchi, lettera a Prezzolini, [Firenze circa 1909], p. 60).
Provenzal (1925)
«Il mio ottimo Padre, un po' nella speranza d'arrotondare il magro stipendio e molto per appagare il suo gran desiderio di palpar libri, sfogliarli, averli vicini a sè, fondò, più di cinquanta anni fa, una libreria circolante che i vecchi rammentano ancora a Livorno. Ma dovette chiuderla presto perchè gli affari andavano a rotta di collo; nella mia infanzia è un ricordo quella libreria morta prima ch'io nascessi e di cui restavano tracce nelle migliaia di volumi accumulati in ogni stanza e in ogni mobile di casa, in armadi, cassapanche e credenze, in salotto, in cucina e in soffitta.
[...]
Voi tutti amate i libri perchè sono utili? Va benissimo: ed io, appunto perchè siano utili, li uso, non li serbo [...]: quando di un'opera ho spremuto il sugo, ho copiato ciò che mi occorre, ho scritto -- se proprio non posso farne a meno -- ciò che ne penso, per quale ragione debbo tenerlo [!] lì mentre forse altri la desiderano o forse ne hanno bisogno?
Via, via! La sua sorte è segnata. O lo regalo alla Biblioteca Labronica per devozione di figlio (lì, come ogni uomo di famiglia desidera la trattoria, feci le mie prime letture di adolescente provandoci più gusto che nella ricca biblioteca paterna), o lo presto a qualche persona di quelle che hanno l'uso di non restituire i libri ricevuti, oppure lo brucio.
Ho detto proprio così: «lo brucio»: e prego i bibliomani di non scandalizzarsi. Nessuno più di me è persuaso che anche in libri mediocri si può imparar qualcosa e che il libro di cui non so che farmi io può servire benissimo ad altri, ma quando ho tra le mani un mucchio di scipitaggini pornografiche che è vergogna regalare ad un amico e delitto far catalogare in una pubblica biblioteca io strappo le pagine a una a una e le appallottolo per ficcarle poi nella stufa. [...]
Alla Labronica vanno specialmente gli opuscoli, i libri rari, gli esemplari con dedica, quelli che un giorno sarà difficile trovare allo studioso ed è bene perciò siano collocati stabilmente in un luogo sicuro, in una specie di banca. Il paragone m'è stato suggerito dall'avere osservato che se uno non paga un debito ad un amico è appena un uomo scorretto, se non paga ad una banca è un ladro: così, chi non restituisce un libro avuto in prestito ad un privato è un uomo medio normale, mentre colui che non fa il proprio dovere verso la pubblica biblioteca vede davanti a sè gendarmi, tribunale, carcere e, nella migliore ipotesi, il nome e cognome infamato nel Bollettino della Istruzione pubblica.
Ma i più dei libri sono quelli che presto agli amici non dicendo loro «teneteveli», ma affidandomi al destino che ne sa più di noi. Qualcuno ritorna, ogni tanto, e quasi sempre nel momento meno opportuno [...].
Poi il libro è restituito o, assai più facilmente, è prestato col consenso (o senza) dell'amico prestatore, e così gira di mano in mano finchè lo riceve il barroccino del rivenditore d'onde passa in altre mani meno aristocratiche. Naturalmente anche questa seconda esistenza ha una fine, quella che per gli uomini è più dolorosa e per i libri più bella: finisce allo spedale o in galera: ossia reca un conforto alle ore nere della cella, alle ore bianche della corsia, interminabili le une e le altre: e agli uomini che per colpa o sventura hanno perduto la libertà non racconta la vita vera, quella che è al di là del cancello e ch'essi ricordano con tristezza, ma una vita come la rappresentano gli scrittori [...]».
(Dino Provenzal, Una grande libreria circolante, p. 5-7. L'autore ripubblicò questo articolo nel suo volume Il libro del diavolo, Milano, La Cardinal Ferrari, 1928).
