LE TESTIMONIANZE

L&L si propone di raccogliere e mettere a disposizione testimonianze di ogni genere relative all'utilizzazione di biblioteche di
qualsiasi tipo, contenute in scritti autobiografici, diari, memorie, interviste, carteggi, ecc., ma senza escludere testi narrativi o creativi (romanzi, poesie), per restituire la dimensione soggettiva ed esperienziale, sia positiva sia negativa, dell'uso delle biblioteche.
Sono comprese, quando è utile, anche fonti un po' diverse come articoli di giornale, inchieste, materiali promozionali, ecc.
Alle testimonianze si affianca una scelta di documentazione iconografica (utilizzabile anche a scopo didattico), relativa alle biblioteche considerate, ai loro locali e alle loro attrezzature, indispensabile per la piena comprensione delle testimonianze stesse.

N.B. La casella di ricerca qui sotto opera soltanto sul titolo della testimonianza (di norma, cognome dell'autore e anno).
Per testimonianze relative a singole biblioteche vedi l'Indice delle biblioteche, per quelle di/su singole persone vedi l'Indice delle persone, per quelle relative alle biblioteche di una singola località vedi l'Indice delle città.
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Risultati della ricerca

Doni (1962)

«Mi rivedo ragazzo di provincia, povero e troppo solo. A scuola: i temi con le frasi del duce: «Noi sogniamo l'Italia romana», oppure: « È l'aratro che traccia il solco ma è la spada che lo difende » ecc. [...]
Ed ecco un altro ricordo: il mio circolo cattolico della Chiesanuova a Pistoia perquisito, nel 1931, per ordine dei fascisti: le bandiere e i registri asportati.
Altro ricordo ancora, più tardi, nel 1939 quando fui impiegato per circa un anno prima d'esser chiamato alle armi. Quella frase gridatami, tra rampogne e minacce, dal vice federale di allora: «Tu non lavoreresti se non fossi iscritto al partito!». [..]
Ma in quel tempo la mia maturazione era tutta privata. Mi rivedo curvo sui banchi della biblioteca forteguerriana a leggere i saggi critici di Croce dove un giorno trovai una frase che mi parve una scoperta: «Coloro che su tutto mettono le mani predaci...».»

(Rodolfo Doni, in: La generazione degli anni difficili, p. 127-131: 128).

Doria (1960)

«Seduto, nella Biblioteca Lucchesi Palli, alla lunga tavola cui egli [Salvatore Di Giacomo] presiedeva, a volte corrucciato, a volte bonario, io, anzichè attendere al mio lavoro, osservavo con dissimulata curiosità quanto il Poeta andava facendo. Spesso aveva davanti dei grandi fogli di carta a mano (amava molto le belle carte e gl'inchiostri di vario colore) e in testa al primo di essi inscriveva, con la sua stupenda calligrafia, un paio di versetti. Poi si metteva a riflettere, scuoteva il capo grigio, appallottolava quel foglio e lo buttava nel cestino. Poi su un secondo foglio tracciava o quegli stessi o altri versetti, che al massimo da due diventavano tre, e di nuovo, e un po' più rabbiosamente, ne faceva esecuzione capitale. E così di seguito e per molti giorni, salvo quelli in cui era tutto preso dal redigere le schede dei musici usciti dai Conservatorii napoletani. Che cosa fossero quei versetti, a quali capolavori dovessero dar luogo, o fossero solo delle esercitazioni a freddo, non avrei saputo allora nè so ora dire. [...] Dunque, io mi raffiguro il Poeta che, affacciatosi nocturno tempore alla finestra della sua casa a Magnocavallo, sente vibrare nell'aria le note trasmesse da un lontano pianoforte, ne ha un'emozione e il giorno dopo, in biblioteca, ferma su quei fogli i memorabili versi».

(Gino Doria, Per Salvatore Di Giacomo, p. 4-5. Salvatore Di Giacomo diresse la Biblioteca Lucchesi Palli di Napoli dal 1902 al 1932).

Dossi (1912)

«1904. Una sala di biblioteca, fredda – con topi che cricchiano e vecchi che studiano sudici libroni ancora più vecchi. Entrano tre o quattro ragazze freschissime, forastiere che vengono a visitare le biblioteche. È come se entrasse un raggio di sole. – Le sbirciate dei vecchi – il tacito confronto tra la scienza nuova e la antica – il rammarico del tempo perduto ecc.»
(Carlo Dossi, Note azzurre, p. 128. La prima edizione fu pubblicata dalla vedova, con omissioni, nel 1912.)

«2374. (Roma 1872) [...] Alla biblioteca della Minerva [Casanatense], i frati non concedono, senza uno speciale permesso, la lettura della Storia d'Italia del retrogrado Botta!»
(ivi, p. 206)

«4760. Fino a questi ultimi anni, le biblioteche italiane patirono un quotidiano saccheggio. Altro che Unni e Maometto! A Milano esisteva un librajo-antiquario (credo si chiamasse Vergani) il quale si assumeva di procurare, a chi lo pagasse, qualunque libro raro purchè esistesse a Brera. Bonghi s'è formata una libreria che è un corso completo di furti. Non per tristizia, ma per smemorataggine se ne composero pure una Correnti e Depretis. Se però Bonghi alleggeriva le biblioteche dei loro volumi più preziosi, cercava di far rioccupare i vacui lasciati da altri libri. Difatti, avendo conti da saldare col Bocca, librajo-ladro-editore, comperò da lui, per ventimila lire, tanti volumi, che, a dire de' periti, non valgon la carta che pesano. – Bonghi essendo ministro della P.I. si formò una raccolta di tutto quanto aveva stampato quel Ministero dall'epoca della sua prima istituzione. Lasciato il Ministero, vendette le sue raccolte per 15.000 lire al Ministero stesso.
Un documento interessantissimo per la storia dei latrocini bonghiani è la relazione di Baccelli, De Renzis e (credo Martini) pubblicata dal Commissario regio, prof. Cremona, della Biblioteca Vittorio Emanuele.»
(ivi, p. 660-661).

Einaudi (1898)

«Ieri sera, venerdì, dietro invito di un Comitato di persone amanti della cultura, si adunava nei locali della Borsa una numerosa assemblea, allo scopo di discutete la convenienza e la possibilità di fondare a Torino una di quelle istituzioni che, sotto nomi diversi, prosperano oramai in tutte le grandi città, e che servono insieme come ritrovo e come mezzo di perfezionare la propria cultura, agli uomini colti, desiderosi di seguire il movimento intellettuale del tempo, e di uscire, ogni tanto, dalla solitudine e dispersione in cui, in una gran città laboriosa, vivono tutti, occupati dietro i proprii lavori.
L'assemblea, manierosa oltre ogni speranza, acclamò a presidente il prof. [Salvatore] Cognetti, il quale invitò il prof. [Francesco] Porro ad esporre gli scopi dei promotori.
Il prof. Porro spiega come intento della Società da costituirsi fosse di essere nello stesso tempo biblioteca circolante adatta a fornire ai soci le ultime pubblicazioni letterarie e di argomenti che tocchino la cultura generale; sala di lettura dei grandi giornali italiani ed esteri e delle maggiori riviste generali, e sala di conversazione per passare qualche ora in geniale ritrovo.
Molti presero la parola, aderendo tutti in massima all'idea opportuna e necessaria per una grande città come Torino; il prof. [Pio] Foà per affermare come si intenda fare qualcosa di nuovo da cui sia bandito ogni argomento estraneo alla cultura e siano aboliti i convenzionalismi e le vuole formalità; [..] e replicatamente il professore [Alfredo] Frassati per dimostrare con considerazioni pratiche la convenienza di fondare su salde basi la novella Associazione, compilando uno statuto, un bilancio passivo preventivo ed uno specchio degli scopi prossimi che la Società si propone, e difendendo, contro alle giuste critiche rivolte da molti contro la mania delle conferenze, la idea di costituire la Società come un centro di conversazione sopra gli argomenti più vivi del giorno, pratici e scientifici. [...]
L'assemblea infine unanime approva un ordine del giorno, presentato da Guglielmo Ferrero ed accettato dal Comitato, col quale si dichiara costituita, cogli intenti predetti, la Società e si dà incarico al Comitato di convocare venerdì, 16, i soci per comunicare lo schema di statuto particolareggiato.
Il presidente prof. Cognetti scioglie, con applaudite parole, l'assemblea, invitando i presenti e quanti hanno a cuore gli interessi intellettuali della nostra Torino ad intervenire, anche senza biglietto di invito, alla prossima assemblea che avrà luogo il venerdì, 16 corrente, nei locali della Borsa, alle ore 21.»

(L. E. [Luigi Einaudi], Per una nuova Società di cultura)

Einaudi (1951)

«Mio caro Croce,
ricevo la gradita tua del 22 corrente e desidero anzitutto dirti che la mia recente visita alla Reggia napolitana è stata decisa lì per lì e dedicata essenzialmente alle due mostre colà ordinate.
La visita alla Biblioteca Nazionale esigeva tempo del quale io allora non disponevo e pertanto se ne parlerà in altra occasione che mi auguro non lontana.»

(Luigi Einaudi, lettera a Benedetto Croce, Roma 28 febbraio 1951, p. 139-140)

«Di ritorno a Roma voglio confermarti la mia gioia di avere avuto l'opportunità di intrattenermi teco dopo la sia pur rapida visita alla Biblioteca Nazionale dove aleggia la tua lunga ed alta sollecitudine. Grazie ancora, mio caro Croce, per le tue amichevoli accoglienze e vive cordialità anche da parte [di] mia moglie, che a me si unisce nel pregarti di ricordarci a donna Adele.»

(Luigi Einaudi, telegramma a Benedetto Croce, [Roma aprile 1951], p. 140. La visita era avvenuta il 3 aprile).

Elia (2006)

«Presidente Elia, lei è da molti anni un assiduo frequentatore della Biblioteca del Senato. Quando ha iniziato a frequentarla e che ricordo ha della sede di Palazzo Madama?
Avevo vinto un concorso in Senato negli anni '50 e fui destinato all'ufficio studi diretto allora dal professor Renato Cerciello, libero docente di diritto privato. Nella Biblioteca approntai il materiale per le mie prime ricerche. E su quella base di studi e di pareri maturò la mia vocazione per il diritto costituzionale. Divenni un utente abituale e sacrificai le mie vacanze per scrivere durante il periodo in cui il Senato non si riuniva, attingendo ai libri e seguendo le indicazioni dei dirigenti di allora della biblioteca: ricordo il dottor Pierangeli, poi il dottor Zampetti [...].
In biblioteca preparai i lavori sulla continuità dell'ordinamento giuridico italiano, in particolare sulla questione della supplenza del Presidente della Repubblica da parte del Presidente del Senato. E poi la ricerca sul procedimento legislativo negli Stati Uniti d'America, un primo tentativo di studio di diritto comparato tra il modello italiano e l'esperienza americana [...].
Penso che questa esperienza nella biblioteca del Senato sia stata utile per indirizzarmi verso gli studi costituzionali e anche per integrare le lacune delle altre biblioteche che allora in materia di diritto comparato non erano particolarmente fornite.

E la sua esperienza in biblioteca come parlamentare della X e della XIII legislatura?
Ricordo in particolare un episodio. Dovevo fare una dichiarazione di voto sulla legge Mammì, che regolava il sistema radiotelevisivo italiano, molto polemica nei confronti del provvedimento. Preparai in fretta la mia dichiarazione di voto proprio nella Biblioteca del Senato. Arrivai in Aula in ritardo e il mio intervento suscitò il finimondo [...].

Dal giugno del 2003 la Biblioteca si è trasferita a Palazzo della Minerva, ampliando notevolmente l'accesso al pubblico degli studiosi. Come giudica questa svolta?
Il passaggio nella nuova sede segna un cambiamento nel ceto parlamentare. Per non citare Benedetto Croce, nelle prime legislature vi erano studiosi come Raffaele Ciasca, Aldo Ferrabino, Gaetano De Sanctis. C'è stata una mutazione genetica, come usa dire, del ceto parlamentare che forse ha meno tempo, occasione e attitudine a utilizzare la biblioteca come la utilizzavano gli antichi senatori. Allora è giusto e democratico che questo passaggio coincida con l'apertura ai cittadini, agli studenti e a chi vuole agevolare la propria ricerca con la vicinanza dei testi.

E quale può essere il ruolo della biblioteca parlamentare come strumento di supporto all'attività legislativa?
Dal collegamento di biblioteche e ufficio studi possono risultare le condizioni migliori per una preparazione dei parlamentari italiani sulla base della conoscenza di realizzazioni legislative, di discussioni dottrinali e di fenomeni di sociologia politica di altri paesi, con particolare riferimento all'Unione europea. Più il mondo si rimpiccolisce, più è necessario che le biblioteche siano disponibili ad agevolare la conoscenza degli ordinamenti delle più diverse nazioni.»

(La mia biblioteca: intervista a Leopoldo Elia; tratta dal DVD I libri di Minerva, l'intervista è disponibile anche in video all'indirizzo <https://www.youtube.com/watch?v=qXWGNPeHicc>)

Fabietti (1937)

«Fasci, Dopolavori, case dei Balilla, ecc. hanno, in generale, biblioteche che adempiono ad una semplice funzione decorativa, ma non funzionano, o funzionano in esiguo numero ed irregolarmente. Se si facesse un’inchiesta controllata per sapere quante sono le biblioteche, quanti libri posseggono, quanto spendono per i rifornimenti e le rilegature, quante hanno un orario di servizio di prestito e quale, quante hanno personale dotato di un minimo di nozioni tecniche che affidino di una sufficente [!] organizzazione e di un utile funzionamento, e quanti, infine sono i volumi distribuiti in lettura nell’ultimo anno, mese per mese, si avrebbero risultati disastrosi. Molte biblioteche che non servono a nulla, molte altre che di bibl. hanno soltanto il nome, e molto spreco inutile di mezzi.»

(Ettore Fabietti, cartolina a Luigi De Gregori, Milano 5 giugno XV [1937], conservata nell’Archivio dell’Associazione italiana biblioteche, Carteggio di Luigi De Gregori, citata in Alberto Petrucciani, Le biblioteche italiane durante il fascismo: strutture, rapporti, personaggi, in: Das deutsche und italienische Bibliothekswesen im Nationalsozialismus und Faschismus: Versuch einer vergleichenden Bilanz, herausgegeben von Klaus Kempf und Sven Kuttner, Wiesbaden, Harrassowitz, 2013, p. 67-107: 95).

Faldella-Sella (1881)

«Poniamo che l'Accademia dei Lincei, come quella di Francia, onori largamente i meritevoli ingegni, perciò gli è forse necessario un nuovo palazzo? Non basta la sede capitolina? Svolgendo gli atti dell'Accademia, di cui trovai parecchi volumi intonsi nella biblioteca della Camera (Si ride), lessi che gli accademici stranieri, rispondendo agli annunzi di loro nomina, si dichiarano, nel loro latino cerimonioso, soprattutto onorati di essere stati assunti in Campidoglio.»
(intervento di Giovanni Faldella, in Atti parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura XIV, 1ª Sessione, Discussioni, tornata del 16 marzo 1881, p. 4405).

«SELLA, relatore.
[...] Ma francamente, onorevole Faldella, si possono compatire, ma non deridere quelli che si sobbarcano a questi uffici. E dei risultati se ne ottengono. Saranno ancora intonsi i volumi dell'Accademia, nella nostra biblioteca, ma sappia l'onorevole Faldella che i volumi accademici non si leggono.
FALDELLA. Però si stampano.
SELLA, relatore. Ma si consultano. Sa l'onorevole Faldella come si guardano i volumi dell'Accademia? Il mio vicino, l'onorevole Del Zio, vuol fare una ricerca relativa alla storia della filosofia, io voglio fare una ricerca di cristallografia, il mio vicino, l'onorevole Maurigi, una ricerca di economia politica? Ebbene, notiamo l'argomento intorno al quale vogliamo fare speciali indagini, e ci proponiamo, se possibile, di far progredire il sapere umano.
La prima questione che si presenta è la seguente: che cosa è stato fatto, che cosa si sa oggi sopra cotesto argomento? Ecco il quesito che deve porsi sempre uno che studia: chi vuol fare un'indagine novella deve sapere a che punto sono giunti gli altri. Si cerca negli indici, e poi nelle serie di volumi delle Accademie o società scientifiche ciò che fu scritto sopra quel dato argomento, e si trova, per esempio, che a Pietroburgo un tale è giunto fin qui, in America, nell'Australia ve n'è un altro che è arrivato fin là. Ecco lo scopo delle collezioni accademiche: non sono bozzetti, onorevole Faldella (Si ride), che si leggano con piacere e con diletto, i volumi accademici sono la cosa più intollerabile del mondo, sono la raccolta delle ricerche, delle osservazioni fatte sopra tanti argomenti speciali da persone che talvolta spendono la loro vita per studiare soltanto una cosa. Anzi costoro sono forse quelli che più aiutano il progresso delle scienze. La divisione degli studi è giunta a un segno, che, per esempio, uno studierà soltanto alcune famiglie di piante fossili, e chi ne trova delle novelle, da qualunque parte del mondo gliele manda a determinare. [...]
Non si maravigli dunque l'onorevole Faldella che i volumi dell'Accademia siano ancora intonsi; quei volumi possono stare anni senza che nessuno se ne serva, poi viene quel giorno in cui permettono ad uno di fare un'indagine che altrimenti far non potrebbe. Questo è lo scopo di quei volumi, ed è perciò molto importante che vi sia in Roma un'Accademia che sia in relazione con tutti gli istituti scientifici del mondo, onde finire per avere la collezione delle loro pubblicazioni. [...] Ma non sappiamo ormai più ove disporre i libri che da tante parti affluiscono.
Dobbiamo pure avere una biblioteca, ci è pure mestieri avere un ufficio per le pubblicazioni, gli invii e simili: dobbiamo pure dare un certo numero di metri quadrati al dotto che venisse da una qualunque parte d'Italia o dall'estero per consultare i nostri libri.»
(replica di Quintino Sella, in Atti parlamentariCamera dei deputatiLegislatura XIV1ª SessioneDiscussioni, tornata del 17 marzo 1881, p. 4439).

Falqui (1927)

«Da quel poco che è dato leggerne, può sembrare che il Vittorini abbia meditato a lungo i romanzetti satirici del Voltaire. Senonché, avendo i libri che possedeva, in gran prevalenza di moderni autori francesi, finito, mesi addietro, col procurargli noia e disgusto, pensò di liberarsene e oggimai trascorre le sue giornate nella Biblioteca Arcivescovile, rapito dietro le grazie dell'elegantissima prosa magalottiana».

(Enrico Falqui, Elio Vittorini, «La fiera letteraria», 3, n. 24 (12 giu. 1927), p. 2.)

Feo (2015)

«Un nuovo spettro si aggira per l'Europa, anzi per l'universo mondo, e anche per Pisa. È l'odio per i libri. È uno spettro che ha origini lontane e ha prolificato nelle civiltà a noi vicine, la greco-latina, l'ebraica, la cristiana e l'islamica (ché di altre non ho contezza). [...]
In questa città [...] fu chiusa la Biblioteca Universitaria col pretesto di una lesione causata dal terremoto della lontana Emilia. Si promise che sarebbe stata riaperta dopo due mesi, poi dopo sei mesi, poi dopo un anno, poi dopo due anni, e intanto di anni ne sono trascorsi due e mezzo, e si rinnovano promesse sempre più lunghe. I libri della BUP sono stati smembrati e dislocati. Foto rubate mostrano la gloriosa sala delle riviste ridotta a squalentia terga atro pulvere. A nulla sono valse le proteste. A chi scrive, per aver raccontato la tristezza dell'ammutolito palazzo della Sapienza (Il ponte del giugno 2014), è stata comminata uno scomunica da Comintern, cui zelanti clientele rettorali hanno aggiunto minacce di roghi, condite dell'elegantissimo osservazione che chi parlava non era nemmeno professore dell'Università di Pisa. Ora l'esempio fa scuola: dalle biblioteche di dipartimento dell'Università e dalla Biblioteca Comunale si gettano via libri di valore, spesso con dedica e in esemplare unico. Alle proteste frammentate sui quotidiani locali e su periodici on-line si risponde negando l'evidenza e aggredendo l'onorabilità di chi protesta. Si dice che Pisa ha troppi libri: questa affermazione mi ricorda pericolosamente la motivazione con cui un anonimo poeta medievale spiega il bruciamento di Arnaldo da Brescia: sapeva troppo. Ma la provinciale amministrazione della grande Pisa non sa che la città non ha più di 500 mila libri e che Algeri nell'Africa coloniale al tempo della battaglia per l'indipendenza ne aveva 6 milioni.
Si dice che i libri della Sapienza si ricompatteranno: è una promessa da pseudo-profeti. In Italia non si tocca mai più ciò che è provvisorio, e sempre dentro e fuori Italia la divisione e lo spezzettamento sono i primi passi verso la distruzione. Si cercano soldi per rifare il palazzo della Sapienza. Istituzioni pubbliche e private si dice abbiano già promesso tre milioni. Ma nessuno dice cosa del Palazzo si intenda fare: nessun proclamo, nessuna impalcatura, nessun cartello, nessun progetto visibile. Onde il sospetto che a tutto si miri che a rimpatriare BUP. Noi diciamo al nostro Ministro dei Beni Culturali, alle banche e alle benefiche associazioni: non date un euro finché non si abbia un progetto pubblicamente evidente, pubblicamente discusso e accettato, che rimetta al centro l'interesse collettivo, la salvezza del bene, il diritto al sapere, la salvaguardia di un patrimonio unico, insostituibile, irrinunciabile.
I libri sono muti e terribili testimoni. Non costringiamoli a dire invidiosi veri con tutta l'eloquenza di cui sono capaci. Le biblioteche sono l'archivio della memoria collettiva dei popoli e di tutto il genere umano. Memoria tangibile, carezzabile, odorabile. Memoria che sta qui, sulla terra che ci ha generati e non negli spazi siderali. Perdere il contatto fisico con questa memoria potrebbe significare naufragare senza appigli. L'ho già detto altra volta. Mi si perdoni se qui lo ripeto. L’umanesimo ha realizzato la inconsapevolmente profana metamorfosi del vas electionis, l'assemblea eterna di tutti i membri del corpo di Cristo, nel terreno vaso librario, che è la chiamata a raccolta di tutti gli artefici della parola reificata nei libri. Distratti, non ci accorgiamo, quando entriamo in una biblioteca, di entrare nel sacrario dove i nostri morti aspettano silenziosi di rispondere alle nostre domande. Perché non possiamo fare a meno della parola dei nostri morti.»

(Michele Feo, Büchervernichtung ovvero la guerra di Pisa, p. 5).

Fermi (1917)

«Io vado tutte le mattine alla Vittorio Emanuele. Qualche giorno fa sono stato dal prof. Eredia per fare graduate il barometro ma non l'ho ancora graduato».
(Enrico Fermi, cartolina a Enrico Persico, Roma 7 settembre 1917, pubblicata in Emilio Segrè, Enrico Fermi, fisico, p. 191).

«Nella prima cartolina a Persico, in data 7 settembre 1917 Fermi dice che sta studiando regolarmente fisica alla Biblioteca Vittorio Emanuele a Roma. Si stava infatti preparando per il concorso di ammissione alla Scuola Normale di Pisa, che doveva svolgersi l'autunno successivo. A questo scopo studiò sistematicamente il grosso trattato di fisica dello Chwolson, un testo canonico in quegli anni. Approfondì anche il trattato di meccanica del Poisson già menzionato nella lettera dell'ing. Amidei.»
(Emilio Segrè, Enrico Fermi, fisico, p. 13. La biografia fu pubblicata per la prima volta in inglese nel 1970).

«Da alcune lettere che Fermi scrisse al Persico tra il 1917 e il 1924 è possibile ricostruire in parte quali furono le prime letture che posero le basi della sua cultura fisica. Le prime notizie su questo argomento sono dell'estate 1918, quando, terminato il liceo, si preparava a concorrere per la Scuola Normale di Pisa. Nell'agosto di quell'anno egli termino di leggere, nella traduzione francese, il grosso Trattato di Fisica del Chwolson. Per questa lettura, che durò naturalmente molti mesi, egli andava quasi quotidianamente alla Biblioteca dell'Istituto Centrale di Meteorologia e Geodinamica, in Via del Caravita, grazie al permesso concessogli dal meteorologo Filippo Eredia, che era stato per qualche tempo suo professore di fisica al Liceo Umberto I di Roma.»
(Emilio Segrè, Nota biografica, in: Enrico Fermi, Note e memorie (Collected papers), vol. 1: Italia 1921-1938, Roma, Accademia nazionale dei Lincei, 1962, p. XVII-XLII: XXII).

Ferrero (1927-1930)

«Caro Alberto.
Grazie dell'invito; ma non posso lasciare, per lavorare, i libri che ho sul tavolo (40) e le biblioteche di Firenze. Per ora – quindi – non mi è possibile muovermi.»

(Leo Ferrero, cartolina a Alberto Carocci, [Firenze] 14 settembre 1927, in: Lettere a Solaria, p. 22).

«Io qui passo le giornate in biblioteca a leggere i resoconti di quelle sedute parlamentari del 1875 che hanno dato origine alla III Repubblica, mirabile regime di cui intendo scrivere la difesa.»

(Leo Ferrero, cartolina a Alberto Carocci, [Parigi giugno 1930], in: Lettere a Solaria, p. 241-242).

Ferri (1991)

«Frequentava a Roma ambienti antifascisti?
No, piuttosto leggevo per conto mio. Andavo alla Biblioteca Alessandrina e chiedevo libri senza un ordine, secondo la curiosità. Chiesi un libro di Nitti una volta, e non me ne vollero dare: dissero che ci voleva un motivo specifico di studio, la malleveria di un professore. Non ce l'avevo. Vede, il mio era un antifascismo che nasceva proprio così, dalle letture.».
(Enzo Siciliano, Ma tu che libri hai letto?, p. 22; l'intervista è datata al 5 febbraio 1972)

(Seppur priva di data, la testimonianza è forse databile al 1942, anno in cui Mauro Ferri si laureò; la consultazione delle opere di Nitti nelle biblioteche, già in parte vietata negli anni precedenti, fu infatti preclusa a seguito della diramazione dell’Elenco di autori non graditi in Italia, avvenuta nel maggio del 1942)

F. S. Nitti, Il capitale straniero in Italia

La scheda di catalogo di un'opera di Nitti posseduta dalla Biblioteca Alessandrina di Roma e contrassegnata con il timbro "RISERVATO", che segnalava le opere escluse dalla lettura.

Foa (1935)

«Qui la biblioteca è molto ben fornita e leggo numerosi libri; mi sono fra l'altro fatto dare i Codici, mi sono rimesso a studiarli e mi accorgo ogni momento di più della mia inesausta ignoranza.»
(Vittorio Foa, lettera ai genitori, [Torino] 17 maggio 1935, p. 5. Foa era stato arrestato il 15 maggio e rimase detenuto nelle carceri di Torino fino a giugno).

«Oltre ai miei codici leggo dei romanzetti per signorina della romantica Sonzogno e cosí il tempo passa assai rapidamente.»
(Foa, lettera ai genitori, [Torino] 18 maggio 1935, p. 7).

«Continuo ad avere tutti i libri che chiedo e, per non affaticarmi troppo, alterno le letture serie e di studio, coi romanzi e coi giornali illustrati.»
(Foa, lettera ai genitori, [Torino] 22 maggio 1935, p. 8).

«Leggo molto, ma do la preferenza alle letture leggere, ai romanzi; ma questa fatuità non mi preoccupa piú che tanto, poiché so che la voglia di studiare non mi scappa, anche se qualche volta si addormenta.»
(Foa, lettera ai genitori, Torino 25 maggio 1935, p. 9).

«Il tempo restante lo occupo per lo piú nella lettura – e leggo effettivamente un gran numero di libri e di giornali e non sono mai sazio.»
(Foa, lettera ai genitori, [Torino] 29 maggio 1935, p. 11).

«Ho sempre qualche cosa da leggere e posso riconoscere con soddisfazione che dal giorno in cui fui arrestato non ho avuto un minuto di noia o di sconforto.»
(Foa, lettera ai genitori, [Torino] 1° giugno 1935, p. 12).

«anche in questi due giorni in cui ho avuto letture scarse ed insufficienti (ora avrò il permesso di usare i libri della biblioteca speciale) non ho mai avuto un istante di malinconia.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 7 giugno 1935, p. 13. Foa era stato trasferito a Roma, al Carcere di Regina Coeli).

«durante il giorno leggo – per quanto per ora abbia poco da leggere ma domani o dopodomani aspetto numerosi libri e giornali che ho richiesto [...].
In questi giorni, siccome avevo da leggere soltanto un'antologia scolastica per ragazzini, non sapendo cosa fare, mi sono rimesso a studiare a memoria tutte le poesie che avevo imparato al ginnasio».
(Foa, lettera ai genitori, Roma 10 giugno 1935, p. 14-15).

«Non ho ancora ricevuto i libri dalla Biblioteca Speciale, ma li aspetto da un momento all'altro; ho però avuto qualche romanzo ed ho comperato tutti i giornali e riviste che è possibile acquistare di qua, e cosí, coll'«Illustrazione Italiana», la «Nuova Antologia», «Critica fascista», la «Lettura» ecc. ho molte cose interessanti da leggere. Giorni fa ho ricevuto la visita del cappellano delle carceri, un giovane molto simpatico e cordiale, il quale, come preposto alla biblioteca, ha promesso di farmi avere dei libri di storia.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 14 giugno 1935, p. 16).

«Io ora ho abbastanza roba da leggere ma non sono ancora completamente soddisfatto; poco per volta però tutto si sistema.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 17 giugno 1935, p. 18).

«In questi giorni non ho modo di annoiarmi perché sono immerso in piacevoli letture; il cappellano mi ha fatto gentilmente avere alcuni libri che gli avevo richiesti e cosí mi vado rileggendo i Promessi Sposi e beando nella lettura delle Storie del Colletta che non avevo mai avuto il tempo di leggere quando ero un libero cittadino.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 28 giugno 1935, p. 22).

«la mia vita quotidiana – dedicata in massima parte alla lettura, in minima parte a fantasticherie o ricordi – varia soltanto in funzione del contenuto dei libri che leggo, e non merita quindi di essere raccontata. Certo la lettura qui dentro è una meravigliosa occupazione, poiché ci si dimentica completamente di essere fra quattro mura ed una inferriata, e si va piacevolmente in giro per il mondo e si chiacchiera con dei grandi uomini; per me poi in particolare è un vero godimento perché posso leggere libri che da tanto tempo desideravo di leggere e che, ora gli esami, ora le occupazioni assorbenti della professione, mi avevano impedito.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 1° luglio 1935, p. 24).

«Ottimo mezzo di attaccamento mondano sono i giornali e le riviste che io acquisto ogni settimana e che mi tengono informato del cammino del mondo; poi ci sono i libri: finite le storie del Colletta, mi sono immerso in quelle del Thiers; leggo poi dei romanzi vari, dei libri di filosofia ed appago la fantasia colle favole di Andersen. Cosí le giornate passano ancora abbastanza in fretta.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 5 luglio 1935, p. 26).

«Ho infine chiesto di potere tenere in cella carta penna e calamaio, non certo per risolvere le parole incrociate dei giornali, ma per rimettermi a studiare il tedesco o l'inglese, dato che posso avere delle grammatiche e dizionari dalla biblioteca delle carceri.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 22 luglio 1935, p. 32).

«La mia vita trascorre inalterata – senza alcun mutamento; l'unica nota di varietà è il cambio dei libri e l'arrivo delle vostre lettere; ora ho parecchi libri interessanti da leggere, di tutti i generi, e sono perciò soddisfatto. [...]
Sto leggendo un romanzo famoso, che ancora non avevo letto, il Viaggio al termine della notte di Céline, e vi assicuro che ne sono quasi entusiasta. Del resto quasi tutti i romanzi contengono descrizioni di disgrazie e di desolazioni di fronte alle quali la mia e le vostre impiccioliscono e la lettura non è quindi soltanto motivo di distrazione ma anche di consolazione e di fiducia.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 26 luglio 1935, p. 33-34).

«Per intanto sto leggendo, fra l'altro, le opere morali di Seneca; non c'è peggior razza dei filosofi; il trattato sull'Ira, che dovrebbe dimostrare che l'ira è un sentimento bestiale indegno dell'uomo, aveva su di me l'effetto letteralmente opposto e mi metteva in furore! Col trattato sulla tranquillità dell'anima, si va invece un po' meglio. Naturalmente leggo anche molta altra roba».
(Foa, lettera ai genitori, Roma 5 agosto 1935, p. 37).

«Cara mamma, tu che mi chiedi di indicarti qualche bel libro da leggere, non so proprio come accontentarti; di romanzi moderni attuali ne entrano pochi in queste mura; le eccezioni sono rare; per lo più sono tutti romanzetti di dieci anni fa. D'altra parte i libri che io leggo non te li posso proprio consigliare: sono belli ed interessanti, ma se non si leggono in prigione non si leggono mai piú; cosí ad es. in questi giorni mi sono riletti i Ricordi del d'Azeglio ed un grosso volume della famosa Storia dei papi del Pastor, nonché delle memorie militari sull'ultima guerra. Qui si verifica l'opposto di quanto accade fuori: i libri pesanti e voluminosi si leggono piú volentieri di quelli smilzi. Importa infatti di far passare le lunghe ore della giornata.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 16 agosto 1935, p. 40).

«Ora sto leggendo il famoso libro di Munthe su San Michele che non avevo mai letto; come vedete anche quanto a romanzi c'è qui qualcosa di buono.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 11 ottobre 1935, p. 57).

«Ho letto in questi giorni un romanzo, già famoso da parecchi anni, che ancora non avevo letto: La storia di San Michele di Axel Munthe. Se avete tempo di leggere fatevelo imprestare (non compratelo perché credo costi assai caro) e leggetelo: è proprio meraviglioso e molto divertente e piacevole oltreché bello.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 14 ottobre 1935, p. 58).

Foa (1936-1937)

«Ho letto sulle cronache vaticane dell'«Illustrazione Italiana» che la «Civiltà Cattolica» polemizza contro un articolo di Croce sulla «Critica» circa la Storia d'Italia di Don Bosco, ed accusa Croce di avere leggermente riportato un falso giudizio di Don Bosco su Mazzini; potrò avere dal cappellano quel numero della «Civiltà Cattolica», ma la «Critica» non si può avere.»
(Vittorio Foa, lettera ai genitori, Roma 1° maggio 1936, p. 101).

«Ricevo libri dalla biblioteca speciale della Direzione, che è assai ben fornita, ed anche il Cappellano non dimentica di rifornirmi di quando in quando: cosí ora mi ha inviato le Memorie inutili di Carlo Gozzi, che non conoscevo affatto, e che sono una vivace descrizione della Venezia del '700.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 22 maggio 1936, p. 110. Nelle lettere Foa menziona moltissime altre letture, senza però specificarne la fonte).

«Inoltre dalle biblioteche del carcere ricevo libri vari: memorie di guerra, novelle, commedie, classici letterari, ed anche libri inglesi che ormai leggo senza eccessiva difficoltà: cosí fra l'altro ho letto in inglese il Gulliver di Swift, purtroppo in una edizione purgata per le scuole.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 10 luglio 1936, p. 122).

«Fra i libri di lettura amena che interrompono la monotonia dei miei mattoni di studio scelgo talvolta nella bella biblioteca della direzione qualche libro di esplorazione artica od equatoriale.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 28 agosto 1936, p. 134-135).

«Sul Risorgimento ho letto, dalla biblioteca del Cappellano, la lunga e bella biografia di Agostino Bertani scritta dalla Jessy White Mario.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 4 settembre 1936, p. 137).

«ho inoltre letto un bel libro di biografie romanzesche del Croce; [...] ed infine, ieri, un tremendo libro, trovato nella biblioteca del carcere, di un tal Scortecci (La città effimera) che descrive una prigionia di guerra con un accento cosí drammatico da far realmente gelare il sangue nelle vene – libro che sarebbe consigliabilissimo per la propaganda pacifista.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 6 novembre 1936, p. 151).

«Sono contento che abbiate letto il San Michele di Munthe che ho letto qui nella biblioteca della direzione: è un libro bellissimo».
(Foa, lettera ai genitori, Roma 13 novembre 1936, p. 154).

«Di tanto in tanto nella Biblioteca del carcere si trovano inaspettatamente libri di notevole interesse: cosí ho scovato i due primi volumi della storia del diritto romano nel medio evo del Savigny, che ha assai interessato anche i miei compagni Bauer e Mila, per le questioni circa l'ordinamento municipale e la giurisdizione nel basso impero e dopo le invasioni barbariche e circa l'assetto della proprietà fondiaria sotto i Longobardi.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 12 febbraio 1937, p. 190).

«Dalla biblioteca del carcere spesso saltano fuori dei libri interessanti: cosí ho letto con piacere le memorie diplomatiche da Pietroburgo (1803-10) di Giuseppe De Maistre; appartiene alla categoria di libri interessanti «che si possono leggere solo in carcere» perché da liberi ci sarebbero da esercitare altre preferenze. La categoria dei libri «da carcere» è assai numerosa e comprende soprattutto libri di storia e classici; la sua fisionomia e la sua importanza è accentuata dal fatto che siamo sostanzialmente preclusi dalle novità estere nel testo originale. Alla stessa categoria di «libri carcerari» appartiene una Storia della Legislazione italiana di Federico Sclopis di cui ho trovato qui il primo volume e da cui, col vostro beneplacito, estraggo qualche appunto che mi interessa.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 23 aprile 1937, p. 223).

«Qui in galera ho letto sulla «Critica» di circa un anno fa, nelle sue «Aggiunte alla Letteratura della nuova Italia» un saggio sul Cagna di Benedetto Croce, che ne dice un monte di bene, soprattutto di quel Alpinisti ciabattoni di cui cita vari brani che, per quel suo magico modo di presentare le cose, sembrano sublimi. Ora, siccome ce n'è una copia nella biblioteca del carcere (circolante) sto aguzzando lo sguardo per non lasciarmela sfuggire quando passa, e, dato il mio scarso gusto letterario, sotto l'influenza di quel gran criticone, son sicuro che lo troverò bellissimo.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 28 ottobre 1937, p. 304).